Nasceva esattamente centoventitré anni fa Lucio Fontana, uno dei più grandi artisti concettuali in Italia e nel mondo. Anticipatore e sperimentatore coraggioso e brillante, ha sedimentato nel gesto tutta la forza evocativa della sua arte.

Lucio Fontana: dalla scultura alle tele

Nato da genitori italiani a Rosario di Santa Fé, in Argentina, il 19 febbraio 1899, Fontana si trasferisce subito in Italia per condurre i suoi primi studi. Figlio d’arte, cresce tra la bottega del papà scultore e accanto alla madre attrice, coltivando fin dagli albori la sua vena creativa. Nel 1921 torna in Argentina e dedica le sue ricerche allo sperimentalismo in ambito scultoreo, volgendosi prima al figurativo e successivamente ad opere di tipo geometrico.

Diviene professore all’Accademia di Belle Arti di Buenos Aires e nel 1946 con altri suoi colleghi fonda Altamira, Scuola Libera delle Arti Plastiche che diviene centro nevralgico per scambi e incontri culturali. Da qui nasce il Manifesto Blanco, importante scritto che riporta alcuni dei punti focali riguardo le ricerche artistiche di quegli anni. “L’arte è eterna, ma non può essere immortale” è la frase che apre il Primo Manifesto dello spazialismo del 1947, nato dopo il ritorno in Italia. Da questo momento in poi emerge deciso il tema del Concetto Spaziale e la sperimentazione con tele e materiali innovativi.

Nei tagli di Fontana possiamo riscontrare in tutta la sua importanza il gesto che deciso interviene sulla superficie per creare un varco oltre lo spazio del quadro e oltre la durata dell’attimo, generando un momento per sempre fissato sulla linea temporale della vita, e alla fine di essa verso l’eternità. E’ proprio il gesto infatti ad essere traccia dell’intervento svolto dall’autore e custode del suo passaggio, contrastando la deperibilità dei materiali.

Fontana però non sperimenta solo con sculture e tele e si rivolge bensì anche a materiali innovativi come il neon e nel 1952 utilizza il mezzo televisivo per trasmettere una performance in collaborazione con la Rai dove protagoniste sono tele o carte telate forate utilizzate per la creazione di immagini luminose in movimento. Al 1951 risale invece l’Arabesco Fluorescente, per lo scalone del Palazzo dell’Arte, realizzato in occasione della IX Triennale di Milano. L’osservatore è immerso totalmente all’interno dell’opera, catturato dalla luce blu brillante del neon, estremamente artificiale ed adatta sicuramente all’uomo nuovo, concetto caro all’artista.

Seguiranno poi ricerche volte alla serie degli Oli, i Tagli, le Ceramiche, tele Monocrome e Concetti Spaziali e nel 1961 la sua prima mostra statunitense a New York. Lucio Fontana muore a Varese il 7 settembre 1968, dopo essersi trasferito a Comabbio. Con la sua arte e le sue ricerche Fontana ha ispirato le generazioni future e dato vita a nuove espressioni creative e sperimentazioni uniche e assolutamente stupende.

Valentina Guido

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