Nella sua tragicamente breve ed eccezionale carriera nel mondo del cinema, Antonio Pietrangeli non le ha mai mandate a dire. E lo ha fatto con uno stile proprio, scevro dalle tendenze e dai modelli obbligati. “Io la conoscevo bene” prende a schiaffi un mondo che aveva iniziato troppo a compiacersi e smesso di guardarsi davvero allo specchio.

Adriana (Stefania Sandrelli) è un giovane, bellissima e naif ragazza della provincia di Pistoia trasferitasi a Roma all’inseguimento del suo sogno di fare cinema. Ma quel mondo tanto sognato non mancherà presto di mostrarle il suo lato più oscuro.

“Io la conoscevo bene”: Italia, anni ’60

ll fatto è che le va bene tutto, è sempre contenta, non desidera mai niente, non invidia nessuno, è senza curiosità, non si sorprende mai. Le umiliazioni non le sente. Eppure, povera figlia, dico io, gliene capitano tutti i giorni. Le scivola tutto addosso senza lasciare traccia, come su certe stoffe impermeabilizzate. Ambizioni zero, morale nessuna, neppure quella dei soldi perché non è nemmeno una puttana. Per lei ieri e domani non esistono, non vive neanche giorno per giorno perché già questo la costringerebbe a programmi troppo complicati. Perciò vive minuto per minuto: prendere il sole, sentire i dischi e ballare sono le sue uniche attività. Per il resto è volubile, incostante, ha sempre bisogno di incontri nuovi e brevi, non importa con chi. Con se stessa, mai”.

E’ la descrizione di Adriana fatta da uno scrittore, uno dei suoi saltuari incontri figli della ricerca di una direzione, che lo stesso spaccia per spunto per un racconto dato da un suo vecchio incontro. Ma Adriana capisce che è riferito a lei, e non se ne cruccia. Sembra non crucciarsi di nulla, Adriana. E’ esistenza sospesa, una creatura sola, in perenne, attiva attesa di qualcosa che, nonostante tutto, non può non arrivare. E poco male che nel mentre si circondi e si affidi a quell’infimo arcipelago di mezzi agenti, mezzi giornalisti, mezzi produttori che girano intorno al mondo del cinema come mosche sul miele, nella speranza che ne rimanga qualche briciola per se. Una contadinotta toscana che non sa come funzioni quel mondo, ma disposta a fare ciò che serve per firmarvi un patto di adesione, come nella scena della sospensione di gravidanza. “Lo sai che significa? Addio a tutto” le dice la sua pigmalione come risposta ai suoi legittimi dubbi a riguardo.

“Io la conoscevo bene”: il Re è nudo

E disposta a rinunciare con dolore ma senza indugi a dare supporto alla propria famiglia per inseguire il sogno del grande schermo. Lo stesso che troneggia su di lei quando fa da maschera, e nella sua testa quando è impegnata in quella miriade di minuscoli lavoretti necessari ad andare avanti. Potrebbe essere un qualche personaggio pasoliniano, Adriana. Strappata dalle nuove dinamiche e illusioni sociali dalla proprie radici e immersa nella minacciosa,  tentacolare babilonia del sottobosco del cinema capitolino, dove homo è homini lupus e chi ce l’ha fatta, come il Roberto di Enrico Maria Salerno, è solo un altro predatore con un ruolo un po’ più alto nella catena alimentare sociale. E’ spietato il ritratto che Antonio Pietrangeli, con Ettore Scola e Ruggero Maccari a co-sceneggiare, fa di quello stesso, dorato mondo ritratto da “La dolce vita” felliniana.

Fuori da ogni maniera e didascalismo, Pietrangeli mette in scena un mosaico narrativo soggettivizzato, costruito assemblando episodi e aneddoti intorno al sempre più ovvia idiosincrasia di Adriana con quello che vorrebbe il suo mondo di sogni e proiezioni, ma che è tutt’altro. Il voto che l’Adriana di un’eccezionale Stefania Sandrelli fa è un voto etico ed esistenziale, di sopportazione silenziosa e cocciuta (il cialtronesco Cianfanna di Nino Manfredi), di timidi tentativi di auto tutelata (le avances di Roberto e del commendatore), di commovente apertura verso le regole di un mondo che non conosce (l’aborto, la giocosa complicità postuma con il playboy romano che prima la seduce, poi scappa senza pagare il conto). Un mondo spietato e inutilmente crudele. Il breve video promozionale che Paganelli (Franco Fabrizi) le gira con la promessa di una promozione in grande stile, e che si risolve in una tremenda umiliazione pubblica, su cui resti le stesse ex colleghe di Adriana banchettano senza alcuna pietà.

Il prezzo dei sogni infranti

O il trattamento riservato al patetico Gigi Baggini, un Ugo Tognazzi che in poco più di un cammeo sa descrivere un intero sottomondo. C’è solo un momento, nell’intero film, in cui quel mondo sembra poter mandare ad Adriana un segnale. E’ quando la nostra, in seguito ad una promozione di capi di abbigliamento sponsor di un incontro di pugilato, fa quattro chiacchiere con il pugile sconfitto, il  provincialotto “Bietolone” Mario Ricci (Mario Adorf). “Penso che un pugile dovrebbe sempre scegliere un avversario più debole di lui” gli dice Adriana, con empatia e sincero slancio. “E’ quello che ha fatto il mio avversario” ribatte Bietolone, decisamente consapevole delle regole del gioco. Di tutti i giochi da un certo punto in poi. I pugni presi non gli fanno più né caldo né freddo, dice, e poi sta per aprire un fruttivendolo con i soldi messi da parte.

E le proprie fantasie le proietta sulla foto di una modella che custodisce nel portafoglio. Un pugile suonato, ma del tutto al riparo dai voli pindarici di Adriana e di una nuova tensione della cultura popolare tutta. Che invece di voli ne farà fino allo stremo e, dopo un lungo viaggio per una Roma spettrale a bordo della propria 500, rinuncerà una volta per tutte a quelle parrucche su cui aveva così tanto scommesso. E con loro a qualsiasi sogno futuro. Contraddicendo qualsiasi sapida descrizione fatta dal primo scrittorucolo incontrato sotto le lenzuola.

Andrea Avvenengo

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