Benvenuti nell’universo cinematografico di Movie Award. Andremo a Venezia alla scoperta di un film che ha vinto il Leone d’oro. Parleremo di Libano, di guerra e di sguardo metacinematografico. Abbiamo dedicato la puntata di oggi a “Lebanon” di Samuel Maoz
“Ho sempre voluto raccontare la guerra ma senza fare un film politico: sapevo che in questo modo la storia avrebbe parlato al cuore e non alla testa delle persone. E vedere che il messaggio è arrivato mi dà un’enorme soddisfazione. So che può suonare naif, ma la mia speranza è che questo film possa aprire la mente delle persone e contribuire alla fine della guerra. E spero davvero che questo sentimento possa arrivare in tutto il mondo”
Queste le dichiarazioni di Samuel Maoz su “Lebanon” dopo la vittoria del Leone d’oro. Nel suo film infatti non si parla di politica quanto più di il senso di responsabilità e di orrore interiore . Il tutto ambientando tutta la pellicola all’interno di un carro armato israeliano con un gruppo di giovani soldati israeliani. Quello di Maoz è un racconto e difficile e complesso di una guerra drammatica come quella del Libano dal punto di vista di 4 soldati inesperti mandati frettolosamente in una missione che si rivelerà tutt’altro che semplice.
Lebanon e il metacinema di Samuel Maoz
In “Lebanon” Samuel Maoz crea un vero e proprio universo metacinematografico. Lo fa trasformando il carro armato in cui il film è ambientato in un vero e proprio essere pulsante che fa da protesi allo sguardo dei protagonisti. Così il suo interno può essere paragonato ad una camera oscura dove il soldato-spettatore assiste dal mirino-schermo a sprazzi di guerra. Maoz infatti fa la scelta di muoversi di meno sul concetto esteriore di guerra quando più su quello interiore. Più del conflitto diventa importante l’orrore che i giovani soldati israeliani provano trovandosi in guerra e la loro maturazione nella drammaticità del conflitto.
Un mancato capolavoro
Quando “Lebanon” vinse a Venezia nel 2009 venne considerato da diversi critici un film in cui mancava quel guizzo finale per diventare capolavoro. Anzi per i detrattori Maoz ha realizzato un film sommariamente corretto che non va oltre il suo compitino metacinematografico. Non viene dunque aggiunto nulla per questi critici aldilà dei classici stereotipi dei film di guerra in quello che è stato anche definito dispregiativamente solo un classico film da festival. Ciò nonostante Maoz ha dedicato con successo un altro film all’esercito israeliano intitolato “Foxtrot” premiato a Venezia con il Leone d’argento.
Stefano Delle Cave
Seguici su metropolitanmagazine.it