Nato a Tripoli il 14 settembre del 1938, Francesco Califano, per tutti Franco, non è stato solo un ottimo paroliere e cantate. Il Califfo, come veniva soprannominato, è diventato un modello, un traguardo da raggiungere per il suo stile di vita sempre schietto e sopra le righe.
Le canzoni di Franco Califano hanno fatto emozionare intere generazioni. Ci sono tantissime leggende legate alla sua vita privata che hanno fatto ridere, piangere e sognare.
L’infanzia di Franco Califano
Franco Califano cresce in Italia, dove fa ritorno con la famiglia allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Al termine del conflitto si trasferisce a Roma, dove vive il primo grande trauma della sua vita: la scomparsa prematura del padre.
Dopo le scuole dell’obbligo, passate prevalentemente in collegi ecclesiastici, si iscrisse a un corso serale di ragioneria perché essendo già un personaggio decisamente sopra le righe, amava la vita notturna ed i suoi vizi, e non riusciva a svegliarsi presto al mattino. Contemporaneamente cominciò a scrivere poesie ma, dopo aver preso coscienza che scrivere versi non gli avrebbe fruttato il guadagno sperato, cominciò a scrivere testi di canzoni e la sua crescente sete di novità lo portò a sperimentare differenti generi musicali, dalle ballate popolari sino agli standard americani.
Esordì nel mondo nei fotoromanzi trasferendosi da Roma a Milano. Era convinto che nel capoluogo lombardo sarebbe arrivato al successo più rapidamente. La permanenza a Milano durò poco ed a 19 anni rientrò nella capitale. Poco dopo si sposò con Rita Di Tommaso e nacque la figlia Silvia.
Il successo come autore… Un grande amore e niente più
Le sue frequentazioni in ambito artistico lo portano a collaborare con diversi cantanti allora in voga che apprezzano il suo stile disincantato e trasgressivo. I suoi primi testi di successo sono E la chiamano estate scritta nel 1965 insieme a Laura Zanin per Bruno Martino che la presentò al Festival delle Rose e La musica è finita scritta nel 1967 insieme a Nicola Salerno e musicata da Umberto Bindi per Ornella Vanoni che divenne presto uno dei brani di maggior successo dell’artista, oltre che un classico della musica italiana.
Nel 1970 grazie all’ottima fama acquisita come autore, firma un contratto con la CGD e nel 1972 esce il suo primo album ‘N bastardo venuto dar sud che contiene il brano Semo gente de borgata, cantato da I Vianella. Nello stesso anno viene arrestato per possesso di stupefacenti, caso in cui furono coinvolti anche Walter Chiari e Lelio Luttazzi. Cominciano così una serie di problemi legali che lo accompagneranno per il resto della sua vita.
Nel 1973 compone un brano destinato a diventare pietra miliare della musica italiana, un cavallo di battaglia per l’interprete: Minuetto, scritto insieme a Dario Baldan Bembo per Mia Martini. Il brano diventa il singolo più venduto di quell’anno e resta nelle classifiche discografiche per ben 22 settimane consecutive. Mia Martini ne scrisse una cover in spagnolo e una in francese. Sempre nel 1973 scrisse Un grande amore e niente più per Peppino di Capri, che vinse il Festival di Sanremo.
Il successo discografico di Franco Califano grazie a Tutto il resto è noia
La svolta definitiva arrivò nel 1977, anno di pubblicazione di Tutto il resto è noia. Franco Califano aveva trovato la formula del successo e diventa in pochi anni sarebbe diventato uno degli artisti più amati e controversi del panorama musicale italiano.
Proprio nel momento migliore della sua carriera, il Maestro fu costretto a fermarsi per un clamoroso caso di errore giudiziario. Lui e Enzo Tortora furono condannati a tre anni e mezzo di carcere per porto abusivo di armi e traffico di stupefacenti. Nel processo che seguì Califano è stato infine assolto insieme ad Enzo Tortora e a molti altri imputati “perché il fatto non sussiste” poiché i giudici ritennero le accuse dei pentiti inattendibili e i fatti contestati non provati.
Durante quest’ultima esperienza carceraria compone l’album Impronte digitali, che si basa soprattutto su esperienze vissute durante l’arresto. Califano ricorderà questo periodo ripetutamente nei suoi libri e nelle sue interviste.
Nel 2010, in un’intervista all’Espresso, lo stesso Gianni Melluso ammetterà di aver incastrato Califano sulla base di pure invenzioni, come accaduto nei confronti di Enzo Tortora:
Devo chiedergli perdono, perché oltre a essere innocente, è stato al mio fianco in serate indimenticabili alle quali partecipava il boss Francis Turatello. Consumava cocaina, amava fare la bella vita e si circondava di donne, ma non è mai stato uno spacciatore: soltanto un grande artista che la camorra mi aveva chiesto di screditare.
Non sarebbe stato comunque neanche il carcere a mettere la parola fine all’immenso Califano, che tornò alla ribalta anche nel terzo millennio, trasformandosi in personaggio televisivo, una sorta di vate della bella vita, senza però dimenticare la musica, come dimostra la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2005 con il brano Non escludo il ritorno, scritto insieme all’amico Federico Zampaglione, classificandosi al sesto posto.
Forse “non escludo il ritorno“
Franco Califano se n’è andato il 30 marzo del 2013 a causa di un arresto cardiaco. La notizia della scomparsa del Califfo ha sconvolto il mondo della musica e dello spettacolo. Sepolto al fianco dei suoi familiari al cimitero di Ardea, Franco Califano è ricordato come uno dei personaggi più influenti del panorama musicale.
Ad Ardea sorge un museo in memoria del Maestro mentre in provincia di Rieti esiste addirittura una piazza intitolare al cantante. Magnifica la lapide, sulla quale spicca la scritta Non escludo il ritorno.
Alessandro Carugini
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