Benvenuti nell’universo cinematografico di Movie Award. Andremo a Cannes alla scoperta di un film che ha vinto la Palma d’oro. Parleremo di Shakespeare, di visionarietà e di montaggio. Abbiamo dedicato la puntata di oggi a “Otello” di Orson Welles

“Un film doveva aprirsi al culmine. Non è come il teatro in questo senso. Uno spettacolo teatrale può aprirsi serenamente e raggiungere il suo culmine. Ma un film deve aprire con un impatto immediato, perché questa dannata cosa [lo schermo] è morta, quindi il “cavallo senza cavaliere” deve entrare all’inizio. Ecco di cosa si tratta [la sequenza iniziale di prefigurazione del film]; il cavallo senza cavaliere”

Così Orson Welles parlò dell’inizio del suo film shakespeariano “Otello”. Un lungometraggio visionario che è stato per il suo regista e protagonista una sfida incredibile viste le notevoli difficoltà produttive. Stiamo parlando di tre anni di lavorazione segnati da difficoltà economiche e cambi di attori. Welles riuscì a reperire i fondi per la sua opera monumentale grazie ai compensi di altri film come “Il terzo uomo”. Pellicole interpretate durante il periodo di lavorazione di “Otello“. Il risultato fu straordinario si dal punto di vista visivo che narrativo.

Otello, il cinema visionario di Orson Wells

Il trailer di Otello di Orson Wells, fonte Carlotta Films US

Con “Otello” Orson Welles riuscì a tradurre la complessità delle tragedie shakespeariane per il grande schermo in un modo oggi ancora mai raggiunto. Anzi la sua difficile idea sperimentale di partire dal finale suggerisce che il celebre maestro americano abbia realizzato il suo film per chi già conosce la narrazione shakespeariana fornendone un perfetto approfondimento psicologico e visivo.

Ad aiutarlo non solo la sontuosità delle immagini segnate da un chiaroscuro che dona una grande potenza drammatica al film quanto anche dal montaggio. Non solo sfruttando brevi o brevissime inquadrature per coprire i vuoti di produzione ma anche per generare una forte tensione piscologica. Il risultato è un incubo cruento a occhi aperti con cui Welles rende perfettamente la sua angosciante riflessione sull’insicurezza del potere e sul dramma dell’autodistruzione.

La vittoria condivisa e il caso Umberto D.

Orson Welles riuscì con “Otello”, nonostante le mille difficoltà, a vincere a Cannes nel 1952. La sua però fu una vittoria sorprendentemente condivisa con “Due soldi di speranza” di Renato Castellani. Si tratta di un film totalmente diverso, leggero, agrodolce e considerato da molti critici il cosiddetto capostipite del Neorealismo rosa. Inoltre era presente quell’anno, in concorso per la Palma d’oro, un cult del Neorealismo italiano come “Umberto D.” di Vittorio De Sica che venne incredibilmente ignorato. Un film con notevoli problemi anche in Italia a causa di quella che fu considerata una cattiva rappresentazione della società italiana.

Stefano Delle Cave

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