Per la ricorrenza del 21 Aprile, data storica riguardante il Natale di Roma, le celebrazioni dette Palilia; nel nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente, l’antica festa pastorale in onore della Dea Pales, divinità del bestiame e custode dell’agricoltura.
Palilia e il Natale di Roma: la figura arcaica della dea Pales
I Palilia erano una festa pastorale e arcaica celebrata il 21 Aprile, giorno del Natale di Roma. A partire dal 121 si inizia, infatti, a festeggiare nella stessa data anche il giorno della fondazione di Roma, la cui festività era nota anche con l’appellativo di Romaia. Il nome della festa, Palilia o Parilia, indicava il legame fra la dea e il parto; i riti nei presentati in onore della Dea erano officiati dal rex sacrorum. Nei Fasti di Ovidio si trova la descrizione dell’intero cerimoniale. Il Numen Pales era spesso venerato come protettore delle attività agricole, ma anche come divinità femminile.
A tal proposito, le celebrazioni dei Palilia si festeggiavano per purificare le greggi e i pastori e, insieme ai Fordicidia (15 Aprile) e ai Robigalia (25 Aprile) comprendevano tre cerimonie consecutive antecedenti alla fondazione dell’Urbe, avvenuta nel 753 a.C. Secondo altre narrazioni, pare che i Palilia fossero state stabilite proprio in occasione della nascita di Roma. La figura della Dea Pales appartiene alla cerchia delle Grandi Dee onorate, soprattutto, nel periodo in cui il potere di Roma si rifletteva attraverso le società matriarcali.
Pales era custode di allevatori e bestiami e la sua egemonia si estendeva, principalmente, sulla pastorizia; rendeva fecondi gli animali e li difendeva dagli attacchi dei predatori. Era nota anche con gli appellativi di “montana” e ”pastoria”. Secondo alcune fonti narrate da Tibullo, alcuni pastori erano soliti mettere delle effigi primitive raffiguranti la Dea proprio sotto gli alberi. L’iconografia classica la rappresenta con uno scettro, il trono e l’asino; emblema del suo paredro maschile, il Dio Pales, e simbolo di virilità sessuale.
Celebrazioni urbane e rurali: lustratio, i riti di purificazione
I Palilia si avvalevano di due forme di rituali diversificati: il rito urbano, celebrato a Roma, e quello rurale nelle campagne. Ovidio, sempre nei Fasti, descrive minuziosamente i vari cerimoniali; nel rito urbano si procedeva con una lustrazione sull’ara di Vesta insieme alla partecipazione della vestale più anziana. La vestale dapprima faceva ardere dei profumi, bruciandoli; successivamente, mesceva al composto della cenere di vitello – sacrificato in precedenza per i Fordicidia – del sangue di cavallo e alcuni steli di fave. Differente era invece il rituale compiuto per le cerimonie rurali; nelle zone di campagna il pastore spargeva acqua sul gregge, riordinava l’ovile e, in seguito, lo ornava di fronde.
Successivamente, bruciava foglie di olivo, zolfo, e fronde di lauro intrise di acqua con varie fiaccole. Si passava poi a offrire delle vivande come latte e miglio alla Dea, mentre si recitava quattro volte una preghiera in cui si scongiurava il perdono. Questa azione si definiva lustratio; un rito di purificazione avente lo scopo quello di ottenere l’assoluzione dalle colpe involontarie. La supplica a Pales era dovuta, per lo più, alle infrazioni compiute nel tempo dai pastori e si chiedeva alla Dea di placare ninfe e fauni dei boschi o delle fonti per le eventuali offese fatte:
«Violato luoghi sacri come alberi, erba di tombe, boschi interdetti;
tagliato fronde di boschi sacri;
essersi rifugiato col gregge in templi per sfuggire il maltempo;
aver turbato laghi e fonti cogli zoccoli degli animali.
Visto esseri divini (Fauno, Diana, ninfe ed ogni altro nume dei luoghi selvaggi anche ignoto) obbligandolo con ciò a fuggire.»Ovidio, Fasti, IV, 746-776.
La preghiera in questione si recitava rivolti verso Oriente. Ci si lavava le mani e si beveva del latte e della sapa; una bevanda ottenuta dalla bollitura del vino. Infine, il pastore doveva saltare tre volte tra le stoppie incendiate.
Stella Grillo
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Crediti immagini – capitolivm.it