Heroides, Ovidio: la parola alle eroine della mitologia greca

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Di Stella Grillo

Heroides: raccolta di epistole in cui Ovidio dà voce alle eroine mitologiche. Nel nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente l’opera scritta successivamente agli Amores, e l’introduzione di un nuovo genere letterario: la lettera poetica a sfondo amoroso.

Heroides: la voce femminile delle mitiche eroine

Una raccolta composta da ventuno lettere d’amore. Quindici epistole scritte da note personalità femminili della mitologia greca; in seguito, le sei rimanenti, contengono le lettere di tre eroi innamorati e le relative risposte delle loro consorti. Nucleo centrale della raccolta sono i lamenti delle donne-eroine: i tentativi di persuasione di quest’ultime, affinché, i loro consorti, ritornino. Tuttavia, alcune lettere hanno come soggetto lamenti di donne abbandonate o tradite. Da Penelope e Ulisse, passando per Deianira ad Ercole, o dal lamento di Briseide nei confronti di Achille. Le vicende più note quelle di Didone ad Enea e Arianna a Teseo. La regina di Cartagine scrive ad Enea nel vano tentativo di convincerlo a perpetuare la sua presenza.

Heroides, Ovidio - Photo Credits: www.dariopalma.com
Heroides, Ovidio – Photo Credits: www.dariopalma.com

Le argomentazioni che utilizza sono di carattere pratico. In seguito, passa ad altre dissertazioni atte a far leva sui sentimenti del giovane: la gravidanza e il suicidio. Nella vicenda riguardante Arianna e il mitico eroe che sconfisse il Minotauro nel labirinto, invece, Ovidio descrive un momento malinconico; quello in cui lei, svegliandosi, si accorge che Teseo non è lì e lo vede fuggire in mare. Nelle epistole successive – dalla IV alla XOvidio tratterà anche l’amore incestuoso: la più nota fra queste scene è quella fra il personaggio di Fedra che tenta di sedurre il figliastro Ippolito. Come accade nelle Metamorfosi anche qui, Ovidio, si serve dei miti come pretesto per denunciare scandali e comportamenti deprecabili della società del tempo.

L’assenza dell’amato e la malinconia di un passato felice

Medea, Didone, Briseide, Laodamia. Tutte le eroine citate dall’autore sono mosse da sentimenti ed emozioni che implicano disperazione: lo struggersi per la lontananza dell’amato, il sospetto d’infedeltà di quest’ultimo, la gelosia consequenziale, minacce di suicidio, le memoria di una felicità che fu. Si riscontra, quindi, un’omogeneità da parte di ogni eroina; un modo di vivere l’infelicità soggettivamente, tuttavia, uniformata dalla stessa angoscia, le stesse vicende e analogie: tutte sembrano, seppur nella loro diversità, vivere la medesima disperazione. Ovidio si immagina l’intero scenario inconscio di queste donne: le loro ragioni, le angosce, le ansie, i tentativi di ricondurre a sé l’amato. Un miscelarsi di sentimenti umani, psicologia femminile ed elegia. Ma qual è la novità di Ovidio? Il poeta scardina letteralmente – così come accade, in parte, nelle Metamorfosi – l’iconografia dell’eroe mitologico: qui, le eroine, sono donne normali che soffrono, si struggono, e si mostrano in tutta la finitezza della natura umana. Desiderio di rivalsa, vendetta, maledizione, in contrasto con l’amore che decantano nelle epistole amorose. Un modo di fare che raramente emerge nel lessico di un’eroina mitologica.

Heroides: psicologia femminile protagonista e debolezza degli eroi

La particolarità risiede nella finzione letteraria innestata sul mito. Rivoluzionaria è, poi, la centralità della psicologia femminile che fa da protagonista. Nelle lettere si segue un iter comune: incontro, innamoramento, abbandono, implorazione del ritorno verso l’eroe, la morte della protagonista. Le vicende non sono più cantante dal punto di vista dell’eroe ma da quello dell’eroina che diventa, così, la figura centrale. La civiltà degli eroi istituita in Grecia si ispirava all’ideale educativo della Kalokagathìa: concetto riferito al possedimento generale di ogni virtù. L’eroe era bello, ma anche buono e valoroso. L’esteriore prescindeva l’interiore. La genealogia delle divinità greche non era né clemente né misericordiosa: erano gli eroi le figure portatrici di virtù, ben più dei capricci derivanti dall’immortalità degli déi. L’eroe greco non ha coscienza della piena libertà poiché soggetto al fato ed alla Parche: coloro che interrompevano il filo della vita. Un esempio lampante e, fra i più noti, è quello di Achille: eroe imbattibile con la sola debolezza nel tallone. Nonostante forza, temerarietà e audacia non hanno potere su un destino già scritto; non hanno scelta, non possiedono libero arbitrio. Ovidio sottolinea, così, la debolezza degli eroi che risiede proprio nel loro mancato esercizio della propria libertà. 

Stella Grillo