Questa settimana per la rubrica ClassicaMente, l’invocazione di Ovidio alla Dea Flora: divinità della fioritura, intersecata fra tradizioni italiche e origini greche, venerata come Dea della Primavera, e i Floralia; le celebrazioni a lei dedicate.

Ovidio e la Dea Flora: tra tradizione italica e origini greche

Il poeta latino Ovidio nei Fasti descrive la Dea Flora fondendo le leggende della tradizione italica con il mito greco da cui, la stessa figura di Flora come Nume, proveniva. Nel tempo, la figura della Dea intesa come protettrice della fioritura primaverile e della stagione stessa, diventava sempre più importante a Roma. Dal 28 aprile al 3 maggio di ogni anno, infatti, si celebravano i Floralia o Ludi Florales; feste in onore del culto della Dea Flora, protettrice dei boccioli, della rinascita, della fioritura dei cerali. il primo rituale in suo onore risale al 238 a.C. a opera degli edili plebei come responso oracolare, appartenente alla consultazione dei Libri sibillini, a causa di una carestia. I Floralia si contraddistinguevano da altri festeggiamenti romani proprio per le cerimonie sfrenate: molti, infatti, erano riti orgiastici a tema pastorale.

 I cerimoniali dei primi cinque giorni comprendevano i ludi scaenici, le rappresentazioni per eccellenza del teatro latino. Le donne si abbigliavano con colori rutilanti imitando i toni dei fiori nascenti, mentre gli uomini si adornavano il capo con ghirlande. Fra i divertimenti tipici dei Floralia vi era la partecipazione di mimae e nudatio mimarum: ovvero, la pratica di spogliarsi da parte delle attrici delle rappresentazioni su richiesta degli spettatori. Dopo il teatro le cerimonie continuavano al Circo Massimo; in seguito, spargevano semi di fave o lupini offrendoli a Flora, considerata anche Dea della Fertilità.

Parallelismi fra mitologia greca e latina

La figura della dea Flora è molto antica. Ovidio fa risalire il suo culto a Clori, una ninfa greca custode della stagione primaverile. La sua venerazione, prima di introdursi all’interno della mitologia latina, può essere riscontrata fra i popoli italici: Flora era venerata dai Sabini e dai Vestini. Si celebrava anche presso il popolo italico dei Sanniti; dove si menziona nella Tavola di Agnone con il nome Fluusai KerriiaiFlora di Cerere. Un legame esistente anche a Roma in quanto, la dea, si considerava ”ministra di Cerere”.

La sua presenza è comprovata anche all’interno della mitologia greca: secondo Omero era stata proprio Flora a permettere la nascita di Ares. La dea Era, gelosa della nascita di Atena dalla testa di Zeus, aveva ricevuto dalla dea Flora un fiore: il solo contatto con il bocciolo era capace di fecondare una donna. Proprio grazie a questo fiore Era genera Ares, senza il bisogno di unirsi a Zeus.

Ovidio, l’invocazione alla Dea e la trasformazione da Clori in Flora

Ovidio crea una fusione fra la leggenda greca di Clori e la tradizione italica di Flora. A tal proposito, utilizza l’espediente letterario della teofania che, il poeta, riprenderà più volte all’interno dei Fasti per rivolgersi a varie divinità. Il termine teofania deriva dal greco theophàneia: composto da theos (Dio) e da phàinein ( dal verbo φαίνω, apparire o manifestarsi) . Letteralmente, quindi, significa manifestazione della divinità in forma sensibile. In greco antico Cloride o Clori era una Ninfa e dea della primavera: successivamente, identificata come Flora dalla mitologia latina, figura corrispettiva all’immagine della divinità nel mito greco.

All’interno della cultura greca, infatti, si credeva che Clori avesse vissuto presso i Campi Elisi; il mito raccontava del rapimento da parte di Zefiro (dio del vento di ponente), dell’unione matrimoniale fra i due e, solo in seguito, della trasformazione in divinità – Flora, appunto – da parte del Dio. Ecco come Ovidio rivela la teofania di Flora all’interno dei Fasti V, 195-212:

Oggi son detta Flora, ma ero una volta Clori
nella pronuncia latina fu alterata la forma greca del mio nome.
E, Clori, ero una Ninfa delle Isole Fortunate, ove tu sai che
felicemente visse gente fortunata.
È difficile alla mia modestia dire quanta fosse la mia bellezza
essa donò a mia madre per genero un Dio.
Si era di primavera, e io me ne andava errando; mi vide Zèfiro,

e io mi allontanai; prese a inseguirmi, e io a fuggire.
Ma fu più forte di me.
Borea, come aveva osato prendersi una donna nella casa di
Eretteo, aveva dato al fratello ogni diritto di rapina.
Ma Zefiro fece ammenda della violenza dandomi il nome di
sposa; non v’è alcun motivo di lamento nel mio letto coniugale.
Io godo di eterna primavera; l’anno è sempre fulgido di luce,
gli alberi son ricchi di fronde la terra rivestita di verzura.

Possiedo un fiorente giardino nei campi dotali,
l’aria lo accarezza, lo irriga una fonte di limpida acqua:
il mio sposo lo ha riempito di copiose corolle, e ha detto:
“Abbi tu, o dea, piena signoria sui fiori”.

La fusione che ne fa Ovidio, fra tradizione italica e latina è chiara: Flora, all’inizio dell’invocazione, si manifesta rivelando la sua natura e i motivi della sua celebrazione; dichiara di essere la ninfa Clori, sposa di Zefiro, e che la pronuncia latina ha modificato la lettera iniziale del nome dalla ”C” in una ”F”. La seconda parte si concentra interamente sul mito greco che vede Zefiro come fautore del rapimento della ninfa per poi procedere con l’ultima porzione dell’antico mito: la trasformazione in divinità custode della primavera, signora dei fiori e dei giardini fiorenti.

Stella Grillo