Alfred Joseph Hitchcock, celebre cineasta e maestro del brivido – di cui oggi ricordiamo l’anniversario di morte – ha avuto il pregio di non nascondersi mai dietro inafferrabili intellettualismi. Per evitare il rischio di cadere in incomprensibili sofismi, non ha mai voluto caricare le sue opere di significati oscuri e reconditi. Per lui era di massima importanza girare storie coinvolgenti e incredibili, divertendosi dietro la macchina da presa.
Nasce nel 1899 a Leytonstone, un quartiere di Londra. Il regista ha spesso inserito con affetto nei suoi film i ricordi londinesi; in particolare in Il pensionante (1927) e in Frenzy (1972). Il padre – uomo severo e osservante della Chiesa di Roma – impartisce ad Alfred un’educazione cattolica, ma anche un grande amore per il teatro. La domenica la famiglia si reca nei teatri della zona, dove Alfred può nutrire la sua fantasia attraverso commedie, drammi e tante storie. Frequenta il duro Collegio Cattolico di Saint Ignatius e gli studi di Ingegneria e Navigazione, che deve tuttavia abbandonare nel 1914 per motivi economici in seguito alla morte del padre.
La carriera altalenante di Alfred Hitchcock
Fin da quando non era nessuno, Hitchcock manifesta un grande interesse verso il mondo del crimine, collezionando articoli tratti dai giornali e visitando il museo di Scotland Yard. Un po’ sbandato e senza un vero progetto di vita, nel 1915 trova lavoro come disegnatore presso la “Henley telegraph and cable Company”. Nel 1923 viene assunto dalla compagnia conosciuta come Gainsborough Pictures e durante i tre anni successivi lavora nel dietro le quinte per numerosi film. Si occupa di una quantità straordinaria di mansioni: sceneggiatura, disegni, scenografie fino al montaggio e all’aiuto regia.
E’ nel 1925 – con “Il labirinto delle passioni” – che la carriera di Alfred Hitchcock ha inizio. Nel 1929 dirige “Ricatto” – primo film inglese con suono sincronizzato – mentre il primo film americano “Rebecca” – del 1940 – vince l’Oscar per miglior fotografia. Poi la carriera di Hitchcock subisce corsi e ricorsi, ma il regista si sforza di mantenere sempre un alto livello. I critici affermano come gli anni ’40 siano di scarsa rilevanza, mentre importanti risultino gli anni ’50 e ’60 con i capolavori: “Gli uccelli”, “Psycho”, “Vertigo” , “La finestra sul cortile”. L’ultimo film è “Complotto di famiglia”, del 1976. Muore a seguito di un infarto a Los Angeles il 29 aprile 1980, mentre lavora ad un’opera che avrebbe dovuto intitolarsi “La notte breve”. Il suo corpo fu cremato e le ceneri sparse nell’Oceano Pacifico.
I modi e tempi della rappresentazione nel cinema di Hitchcock
Tra gli espedienti cinematografici frequentemente utilizzati da Hitchcock ricorre l’occhio-schermo o meglio lo sguardo che spia. I suoi film abbondano di riferimenti al “vedere” e ai dispositivi che ne intensificano il potere: lenti, cannocchiali, macchine fotografiche.
Ma è suspense lo strumento più potente. E’ ottenuta tramite uno scollamento tra ciò di cui è a conoscenza lo spettatore e ciò di cui è a conoscenza il personaggio. In questa fase di attesa è peculiare l’impiego che egli fa della lentezza e della rapidità. Gioca col tempo, contraendolo, ma più spesso dilatandolo. Hitchcock la descrive così:
“La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto – c’è un orologio nella stanza – : […] il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: ‘Non dovreste parlare di cose banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro'”.
Cos’è il McGuffin?
Tra sequenze oniriche, invenzioni, effetti visivi speciali, espressività di luoghi e oggetti offerti dal genio di Alfred Hitchcock compare anche il McGuffin. Si tratta di un concetto del tutto personale e viene descritto dal regista in una piccola storiella, nel celebre libro-intervista con François Truffaut del 1962.
ll MacGuffin è un artificio introdotto nello svolgimento della trama, di scarsa rilevanza per il significato della storia, ma assolutamente necessario per sviluppare gli snodi fondamentali. Scappatoia, trucco, espediente di inizializzazione. Così viene definito scherzosamente da Alfred:
‘’Due viaggiatori si trovano in un treno in Inghilterra. L’uno dice all’altro: «Mi scusi signore, che cos’è quel bizzarro pacchetto che ha messo sul portabagagli? — Beh, è un MacGuffin. — E che cos’è un MacGuffin? — È un marchingegno che serve a catturare i leoni sulle montagne scozzesi. — Ma sulle montagne scozzesi non ci sono leoni! — Allora non esiste neppure il MacGuffin!»’’.
Alfred Hitchcock e la condizione esistenziale
Nonostante l’uso sapiente dell’ironia, Hitchcock utilizza molti modi per comunicare ansia e angoscia insite nell’animo umano. La messa in discussione della presunta armonia dell’esistenza, il ruolo determinante della casualità che sconvolge l’ordine comune. Sono alcune delle tematiche che rendono il regista un intenditore di psicanalisi ed introspezione.
Dalla riflessione sul bene e sul male, su innocenza e colpa, fino alla difficoltà di distinguere il vero dal falso: i suoi personaggi sono sempre avvolti da un alone di segreto e di sospetto.
“Per il regista la realtà sembra essere una delle tante maschere dell’apparenza […] La preoccupazione che accompagna l’autore in tutto il suo itinerario registico è quella della ricerca dell’Essere dei suoi personaggi, della loro autenticità al di là del loro agire convenzionale.” (Gian Piero Brunetta, Dizionario universale dei registi, pp.166-167).
Alessia Ceci
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