Una commedia cinica e realista imbevuta di sberleffi; Il Marchese del Grillo, con Alberto Sordi, è una pellicola di Mario Monicelli datata 2 Dicembre 1981. Un film simbolo che ben si incastra con l’arte cinematografica di Monicelli, attento a sottolineare la malinconia e il realismo con fare ludico.
Il Marchese del Grillo, Alberto Sordi: la romanità nobiliare e il paragone con il Giovin Signore di Parini
Il Marchese Onofrio del Grillo, interpretato da Alberto Sordi, è il classico uomo appartenete alla romanità Ottocentesca, ricco, viziato e infantile a tratti. E’ il 1809 e il Marchese del Grillo è un nobile alla corte di Pio VII. La sua è una vita condotta nell’ozio completo; si alza tardi al mattino, costringendo i servi del palazzo a non far rumore prima del suo risveglio, frequenta bettole, coltiva relazioni con popolane, insomma un vero e proprio perdigiorno la cui figura rende automatico un paragone letterario. Il Marchese del Grillo di Monicelli, potrebbe essere il protagonista del poemetto didascalico Il Giorno di Giuseppe Parini.
Quest’opera utilizza la satira per rappresentare i costumi dell’aristocrazia ormai decaduta, analizzando la giornata tipica del Giovin Signore, il protagonista. I temi dell’opera sono l’ozio, la vacuità di una vita senza scopo, la monotonia dell’esistenza del protagonista. Se Parini descrive il giovane con sagacia e ironia, anche Monicelli dona, con la figura del Marchese, uno spaccato di esistenza che conduce ad alte riflessioni.
Il passatempo principale del Marchese è lo scherno, tanto da divenir famoso per questa sua peculiarità. Fra scherzi e beffe non manca la compagnia del fedele Ricciotto, il servo che lo accompagna nelle sue scorribande. Alle sue burle non sottrae nemmeno la sua stravagante famiglia composta da una madre conservatrice e rigida, una sorella sposata con un figlio e Genuflessa, una parente povera segretamente innamorata di lui. Il contesto storico a cui si fa riferimento è la piena occupazione francese; il potere temporale del Papa è sempre più in bilico e il Marchese spera in possibili novità a riguardo.
La figura di Onofrio del Grillo fra storia e letteratura
Onofrio Del Grillo, il Marchese interpretato da Alberto Sordi nel film di Monicelli, è una figura storicamente esistita. Nell’ambiente nobiliare romano vagavano delle leggende su questo personaggio fin dall’Ottocento; come nel film, anche nella realtà era un nobile giocherellone e scanzonato che si divertiva a fare scherzi ai ricchi e ai meno abbienti. Grazie allo scrittore Raffaello Giovagnoli, nel 1887, si ha la prima fonte in cui si cita la sua effettiva esistenza. Pare fosse un duca e non un marchese, inoltre Giovagnoli afferma di non conoscere esattamente il nome di battesimo. Il duca era originario di Fabriano, nelle Marche: a Roma era poi diventato noto grazia alla sua attività presso la corte papale, dove ricopriva gli incarichi di Sediario pontificio, Cameriere di cappa e spada di Sua Santità e Guardia nobile.
Papa Benedetto XIV lo nomina, in seguito, marchese di Santa Cristina di Gubbio e conte di Portula. Sposa, successivamente, Faustina Capranica nel 1757. Il marchese Del Grillo muore a 73 anni, nel 1787, nella sua residenza estiva a Fabriano. Le sue esequie saranno poi sepolte nella basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Roma.
Un umorismo rocambolesco
Il Marchese, interpretato da Alberto Sordi, si serve della burla soprattutto come mezzo per giungere ai suoi fini; sfrutta senza vergogna le conoscenze dell’alta borghesia, mettendo in gioco il suo lato rocambolesco e il suo umorismo apparentemente ingenuo, ma che cela un’astuzia sottile e maliziosa. Il Marchese del Grillo è l’italiano arrogante che tenta di accaparrarsi scorciatoie per ribaltare situazioni sociali e, all’occorrenza, anche morali. La sua figura è una mescolanza di edonismo, viltà, provocazione, ma anche di sottile goliardia e ingenuità; le beffe e gli scherzi attuati da Onofrio del Grillo, non sono altro che meccanismi di difesa per nascondere un’intensa e velata malinconia. Un’immagine abbastanza peculiare del cinema di Monicelli. Il Marchese del Grillo è un uomo che auspica il cambiamento; sbeffeggia, ridicolizza, critica e schernisce un sistema di cui lui stesso fa parte, un’aristocrazia piena di vizi, privilegi, e vacuità morali.
Onofrio è un tacito rivoluzionario che inneggia l’anarchia ma sta comodo nel suo lusso; aiuta e poi schernisce, è amico dei francesi, dei poveri, di chiunque ma poi ingiuria conscio del fatto di essere sempre il Marchese Onofrio del Grillo. Ed è quindi la noia che induce il protagonista a far burle, un po’ come un mezzo per sopravvivere a un’infanzia statica e infelice. Bloccato nelle dimore antiche del passato, sogna un futuro luminoso, bofonchiando idee rivoluzionarie che però non è in grado di attuare per cambiare il corso delle cose.
Il Marchese del Grillo, Alberto Sordi e il messaggio di Monicelli: ”è morta la giustizia”
La figura del falegname Aronne Piperno, che il Marchese decide di non pagare per i suoi servigi, diviene esplicativa; non c’è un motivo preciso per la mancata retribuzione e dopo aver accampato scuse di ogni tipo, Aronne il falegname decide di presentarsi in tribunale; salvo sentir affermare dallo stesso Marchese che la cosa sarebbe stata inutile, in quanto aveva già provveduto a corrompere tutti.
Ma Aronne conscio di essere nel giusto è convinto di poter vincere, pur vivendo in una società in cui la giustizia non è sempre corretta con il prossimo. Monicelli dimostra in questo passaggio quanto il mondo sia in mano a chi detiene il potere; i ricchi, la potenza e il buon nome sono le etichette che contano, che aprono le porte anche di fronte a misfatti e palesi ingiustizie. Il Marchese è conscio di questo aspetto della società, per questo lo usa a suo vantaggio. Emblematica la scena delle campane che suonano a morto e il dialogo con il Papa dopo la burla ai danni di Piperno.
L’esteriorità conta più della sostanza, il Marchese e il sosia: il carbonaro Gasperino
L’ultimo scherzo epico del Marchese è lo scambio che attua con un suo sosia, il Carbonaro Gasperino. La famiglia non si rende conto dello scambio di persona; l’esteriorità conta più della sostanza. Gasperino è un personaggio rurale, bifolco, che di astuto e intelligente non ha nulla a differenza del Marchese. Onofrio fa lavare l’ubriacone Gasperino, lo rilava ancora e ancora, facendolo cospargere di profumo nel tentativo che l’olezzo di vino svanisca. La sua è una parla dialettale, il suo modo di mangiare ricorda una bestia famelica; i suoi improvvisi riguardi verso la cugina innamorata non destano sospetto. La famiglia, che dovrebbe conoscerlo a fondo, non si cura di queste accentuate differenze. Lui è Onofrio del Grillo, come il suo aspetto attesta, e questo basta. Una storia triste e paradossale al contempo, che ben si lega alla scena di Aronne il falegname la cui morale, su per giù, è la medesima: se nasci dalla parte giusta della società, sarà difficile rimuovere quell’etichetta fregiata, nonostante d’improvviso ci si possa iniziare a comportare come barbari, privi di quell’educazione raffinata e signorile tanto decantata. La morale è che l’etichetta conta più di un’azione concreta.
A lezione di privilegi
Un’ulteriore conferma si ha alla fine del film, un finale in cui Monicelli fa confluire la vera essenza di un uomo borghese e mediocre, rivoluzionario solo a parole, ma che non disdegna quel posto nel mondo, che tanto critica. Il Marchese vuole raggiungere la bella Olimpia a Parigi; ma neanche la passione vince la sua predilezione alla comodità. Fuggire dalle mura antiche della sua dimora, dalla società papalina e smettere i panni da nobile per diventare uno qualunque, non è un percorso fattibile. Per cui, il Marchese, resta nel suo castello dorato, con le sue idee rivoluzionarie e nebulose, mai concretizzate, a schernire chiunque da una posizione privilegiata.
Stella Grillo