L’11 giugno del 1984 Enrico Berlinguer – segretario del Partito Comunista – si accasciò per un improvviso malore sul palco dove – a Padova – aveva appena tenuto un comizio. Aveva voluto portare a termine il discorso a ogni costo. Si capì ben presto, tuttavia, che l’ictus non sarebbe stato superabile.
Una figura complessa, quella di Enrico Berlinguer, che ha lasciato dietro di sé un ampio retaggio di memorie
La figura dello storico leader comunista gode di stima e di ampio consenso. La valutazione generalmente positiva deriva dall’identificazione di Berlinguer con l’immagine dell’uomo politico “perbene”. Con rettitudine e onestà incarna ancora oggi un’idea della politica come servizio nei confronti della cittadinanza.
C’è però anche un rovescio della medaglia: negli anni dell’accordo con la Dc (’76-’79), Berlinguer fu accusato di tradire i trent’anni precedenti del suo partito, così come nell’ultima fase della sua segreteria. La crescente distanza del Pci da alcune tendenze della società, l’isolamento a cui la sua linea sembrava condannarlo, la «questione morale», furono stigmatizzati dai suoi avversari.
Nel 1972, quando Enrico Berlinguer divenne leader del Pci, era poco conosciuto
Ciononostante, anche grazie al suo carisma, il Pci conquistò un crescente consenso, in un Paese in piena crisi economica e politica. Una credibilità che traeva origine dalle sue scelte in campo internazionale: l’eurocomunismo e il crescente distacco dall’Urss. Alla base del suo consenso c’era anche un rapporto inedito con l’opinione pubblica. Ritenne che l’ingresso delle masse – soprattutto giovanili – nell’area di governo fosse la principale riforma. A questo si aggiunsero risultati importanti come la legge Basaglia e quella sull’aborto.
Quando l’omaggio all’icona lascia il posto all’analisi storico-politica, la figura di Berlinguer diventa divisiva
L’interpretazione critica nei confronti di Berlinguer sorge in un momento storico preciso, l’anno 1996. Nell’aprile del ’96 la coalizione di centrosinistra, L’Ulivo, esce vincente dalle elezioni politiche e la sinistra postcomunista si appresta ad affrontare la sua prima esperienza di governo dopo la fine della Guerra fredda. Miriam Mafai – giornalista di Repubblica – riflette in un pamphlet riconoscendo che Berlinguer ha simbolizzato «l’idea nobilissima di una politica intesa come sacrificio, sofferenza, abnegazione, servizio».
Tutto ciò avrebbe conferito a Berlinguer un’aura mitica, di eccezionalità; e «proprio perché è entrato nel mito – continua l’autrice – è così difficile parlarne oggi, discuterne le scelte politiche, senza apparire quasi blasfemi». La sua critica concerne in primo luogo la strategia del «compromesso storico».
Le criticità del compromesso storico di Berlinguer
Berlinguer auspicava un’alleanza tra le forze rappresentanti del mondo popolare al fine di salvaguardare la democrazia italiana. L’intento era quello di indirizzare il Paese verso una prospettiva di progresso sociale, attraverso l’introduzione di «elementi di socialismo» nella realtà italiana. Sin dal principio, il «compromesso storico» si configurava pertanto come una strategia ambo difensiva e propositiva. Non potendo accedere al governo in forza della pregiudiziale anticomunista in tempi di Guerra fredda, il Pci avrebbe puntato su un’alleanza con la Dc per garantirsi l’opportunità di giocare un ruolo di primo piano nelle scelte decisive per il Paese.
Grande ingenuità tuttavia è attribuita alla scelta di affidare a uno stretto rapporto con la Democrazia Cristiana un percorso di trasformazione radicale degli assetti sociali ed economici del Paese. Questa ingenuità da parte del Pci e del suo leader si paleserebbe platealmente nel periodo dei governi di «solidarietà nazionale», tra il 1976 e il 1979, con la scelta del Pci di sostenere due governi monocolore Dc guidati da Giulio Andreotti.
Enrico Berlinguer, una personale inclinazione antimoderna?
A pesare contribuirebbero gli anacronismi, più specificamente riconducibili alla visione della società propria di Berlinguer. Il riferimento è all’ostilità nei confronti dei consumi individuali e più in generale a un presunto atteggiamento di rigida chiusura nei confronti della modernità da parte del leader sardo. Questa è l’ulteriore critica mossa dai suoi avversari.
Come la sua posizione ambigua sul referendum abrogativo per il divorzio. Il partito si era posto a favore del divorzio, ma contro il referendum, temendo che dalla campagna elettorale potessero derivare spaccature profonde e risvolti negativi nella vita politica italiana. Tenendo anche conto del pericolo eversivo di destra che si era aperto nel paese a partire dalla strage di Piazza Fontana, il PCI si rivolge quindi a un elettorato ampio che comprenda anche il mondo cattolico, temendo una contrapposizione tra laici e cattolici.
La profonda stima nei confronti di Berlinguer da parte della sinistra rende inevitabile una risposta ai detrattori
Nel 1997, pochi mesi dopo la pubblicazione del pamphlet di Miriam Mafai, la giornalista Chiara Valentini pubblica una versione aggiornata della sua biografia di Enrico Berlinguer. Dà voce a quella parte della sinistra che conserva un’idea molto positiva della leadership di Berlinguer. L’autrice invita a collocare il ”compromesso storico” nella delicata fase attraversata dalla Repubblica Italiana negli anni Settanta. In tal senso viene evidenziato il contributo che il Pci ha fornito alla compattezza politico-istituzionale del Paese e, conseguentemente, alla salvaguardia dell’ordinamento democratico.
L’attitudine lungimirante di Berlinguer secondo Valentini va ben oltre la «questione morale», per abbracciare vaste tematiche di rilevanza globale. L’autrice sottolinea l’attenzione di Berlinguer verso la limitatezza delle risorse e la compatibilità ambientale; la sua riflessione sui potenziali utilizzi, buoni e cattivi, delle nuove tecnologie; la sensibilità nei confronti del divario tra Nord e Sud del mondo. Il più grande merito di Berlinguer è stato:
«costituire un orizzonte politico e ideale diverso per la sinistra […] Berlinguer ha avuto la capacità di lasciarsi dietro una sinistra migliore e più aperta al nuovo, in cui hanno potuto riconoscersi molti, sia intellettuali che gente comune, anche se provenienti da mondi e culture differenti».
In conclusione
Il Berlinguer descritto da Valentini non è incapace di comprendere la modernità. Altresì è un leader in grado di mettere in discussione un modello di società incentrato sul profitto e sullo sfruttamento intensivo delle risorse. Un leader che – nonostante le criticità – ha indicato nuove vie di progresso sociale nel contesto di fine XX Secolo.
Alessia Ceci