La vita riesce a scrivere trame degne di un film ben costruito da registi e produttori di successo. Tristezza, distacco, rabbia e senso d’ingiustizia non si sono mai dileguate dalle menti di chi ha vissuto quegli attimi strazianti che portarono alla morte di Marco Simoncelli. Un giovane campione, un guerriero sorridente e amato che perse la vita sulla pista di Sepang mentre svolgeva quel lavoro coltivato, rincorso e sognato che era diventato, magicamente, realtà. Grazie alla sua passione, alla voglia di emergere con forza, coraggio, spensieratezza e una piccola, ma consistente, dose di stravaganza esilarante, il ragazzo romagnolo era entrato a far parte di quella classe regina della MotoGP che aveva imparato, con il tempo, a voler bene a una persona spesso fuori dagli schemi. Una gioia vivere il paddock con lui: le testimonianze convergono tutte nella stessa direzione e noi, certamente, non abbiamo alcun dubbio sia vero. Il vuoto che ha lasciato questo sfortunato ragazzo in quel ferale 23 ottobre 2011 è ancora oggi vivido e riesce a emozionare. La sua specialità era il sorriso, la sua forza i rombi di motore e una famiglia straordinaria che lo ha supportato sempre. Parenti che si sono dimostrati ancor più meravigliosi nei momenti più duri: quelli del distacco. Oggi, come undici anni fa, siamo ancora tutti in Malesia. Siamo a Sepang e, forse, non ce ne siamo mai andati da lì.
Marco Simoncelli: siamo ancora tutti a Sepang, insieme al tuo ricordo
In questo weekend valido per il Motomondiale 2022, la MotoGP è tornata a correre sulla pista di Sepang. Proprio lo stesso giorno che vide Marco Simoncelli morire undici anni fa alla Curva 11 del circuito. Un numero che è tornato rincorrente, in tutto il suo mistico destino, in questi giorni dedicati alla gara e al ricordo dello sfortunato centauro. Un gioco di coincidenze estreme capace di far impennare i pensieri di tutti, con maggior forza, verso quella maledetta giornata che ha strappato via dall’affetto dei suoi cari, di chi gli voleva bene e dei tifosi questo ragazzo così sorridente.
In realtà, il nostro pensiero ci tradisce in modo vigliacco e noi raramente ci accorgiamo di questo suo inganno. Le immagini shock dell’incidente, i pianti disperati dei presenti e di chi pregava davanti alla televisione, le parole spezzate del padre Paolo abbracciato per primo da Dani Pedrosa (uno dei pochi che non stimava moltissimo suo figlio) e il silenzio d’attesa, quasi surreale, sono immagini e sensazioni che nessuno potrà mai dimenticare. Sono impresse a fuoco, ma nascoste in quel cassetto che nessuno vuole più aprire. In verità, infatti, nessuno di noi ha mai lasciato Sepang. Siamo tutti accampati lì, sul punto dello scontro, maledicendo il fato e sorridendo amaramente alla voce inconfondibile di Marco Simoncelli, un ragazzo che lavorava sodo e si divertiva tanto. Il ricordo che vince sulla morte. Il pensiero che ci avvicina tutti, anche per un breve istante, a riabbracciare il Sic.
La vittoria a Sepang di Bagnaia e il secondo posto di Bastianini: c’è il tuo zampino, Sic?
A noi piace pensarla così. Marco Simoncelli maestro d’orchestra di questo bellissimo Gran Premio di Malesia che ha regalato gioie e sorrisi(da confermare a Valencia) agli azzurri in pista. Il romagnolo capellone era stato designato come erede naturale di Valentino Rossi, ma il destino infame non ha permesso a quel bellissimo fiore di sbocciare.
Sulla pista di Sepang abbiamo assistito a una gara stupenda che ha visto come protagonisti assoluti Francesco Bagnaia ed Enea Bastianini, i migliori centauri italiani del momento: il duo che il prossimo anno si dividerà il box della Ducati ha duellato fino agli ultimi giri, con il pilota della Gresini Racing (un saluto anche a te, Fausto) che ha tentato d’insidiare il primo posto del piemontese. Non riuscendoci. Con la vittoria odierna, Pecco si avvicina al suo primo titolo mondiale, mentre la Bestia certifica il suo immenso talento. Accade in Malesia, accade a Sepang. Accade undici anni dopo: nel ricordo di Simoncelli due corridori italiani si distinguono sul resto del gruppo. Miglior modo per celebrarlo, forse, non esisteva.
ANDREA MARI
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