Nata a Roma l’11 giugno 1946, Biancamaria Frabotta è stata una poetessa e saggista che ha dato un enorme contribuito al femminismo separatista. Il suo è un impegno che si concentra sul femminismo all’interno di una società che condiziona la donna in quanto tale, costringendola a piegarsi di fronte ai valori patriarcali che la società impone.
Biancamaria Frabotta, la poesia della ”non appartenenza”: «Divenni femmina, nel linguaggio, prima che nel corpo»
Dopo la laurea presso l’università La Sapienza con una tesi su Carlo Cattaneo, Biancamaria Frabotta milita all’interno del Movimento degli Studenti e nel Movimento delle Donne. Nel 1976 pubblica Donne in poesia, la silloge in cui appare la poesia di Amelia Rosselli e , per la prima volta, delle giovani Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. La peculiarità di questo volume è la sua argomentazione centrale: Biancamaria Frabotta, infatti, analizza il tema del linguaggio poetico femminile indagando la presenza dell’argomento anche nella letteratura maschile. Quello di Frabotta è un linguaggio poetico contemporaneo che imprigiona, tramite parola, le contraddizione del tempo che fugge e di una società sempre più impositiva; l’ambizione della sua poesia è farsi voce attiva e udibile, mezzo dinamico che serva a narrare i problemi, le preoccupazioni, le fragilità individuali e collettive del singoli e della moltitudine. Nella poesia Il rumore bianco (Feltrinelli, 1982) scriveva:
Poeta o poetessa? Non come te poeta io sono?/ io sono poetessa e intera non appartengo a nessuno.
E, ancora, a proposito del titolo di una sua raccolta La viandanza, ( Milano, Mondadori, 1995), la poetessa dichiarava:
«Sin dalla prima infanzia impariamo, senza discutere, a dare un sesso a tutto: persone, animali, cose e concetti. Il Sole, la Luna, il Soggetto, l’Anima hanno messo in noi radici profonde. Quasi serbassimo la remota memoria di quello che imparammo immersi nel liquido amniotico dove galleggiavamo come pesci fra fonde risorgive di balbettii dimenticati. […] Divenni femmina, nel linguaggio, prima che nel corpo. Affeminata, appunto, sfrontata distorsione di senso, provocazione, proterva venuta alla luce. […] La parola “viandanza”, per esempio, apolide e intrusa in quanto alla grammatica, navicella di lungo corso nel gran mare dei simboli classici (homo viator, wanderer, nostos o naufragio, identità o perdita) danzando per la via, mi dette un’anima. […] La poesia, come una madre pietosa, raccoglierà le spoglie delle sue creature. Cosa volete che vi dica più di questo nell’epoca del balenante selfie? Qualcosa che illumini il buio e duri più dell’attimo dello struscio del dito sullo schermo?»
Quello che Frabotta rivendica è la ribellione della non appartenenza, quella condizione per la quale da sempre le donne hanno dovuto lottare, asservirsi, ed essere condizionate nel loro essere più intimo per mere imposizioni sociali; le stesse che fin dall’infanzia insegnano a dare un sesso a tutto, senza provare a riflettere su queste lezioni divenute, nel tempo, automatismi non richiesti dalla società. La rivoluzione è tutta nel lessico e, ancor di più, nel linguaggio poetico; la letteratura femminile, la poesia, dona a Biancamaria Frabotta quella coscienza di essere una donna, prima ancora che nel fiorire del corpo.
La voce delle donne all’interno dei versi
Il disagio di una donna con un pensiero che non è ascoltato o legittimato: il cruccio di Biancamaria Frabotta fluttua su questo versante, cercando tramite la sua poesia di testimoniare la tacita voce di quelle donne che parole non hanno, o non possono avere. Nella poesia Seconda voce, appartenente alla raccolta Controcanto al chiuso (1991), scrive:
Chi è chiuso merita violenza
e io non riesco a dimenticare la tua lingua
così inutile, assente, dolce come il miele
valere fino in fondo il mio tormento
spegnere fra le labbra e il palato, l’ugola
e le molli pareti della casa, l’unica
lieviti, viti, storia e cibi cotti
forzarti, farti violenza, aprirti
forzarmi, farmi violenza, aprirmi
segna nel caldo fiume dell’Avvento
il calendario l’Angelo
prima della donna. Inarginabile.
Mentre nei versi appartenenti al componimento Per Elide, la poetessa descrive in modo struggente l’immagine di una donna costretta a piegarsi davanti ai dettami moralistici di una società che non accoglie ma discrimina l’essere femminile nella sue miriadi di sfumature eclettiche, e ricche di forza e fragilità al contempo:
Ammaina i crespi capelli che sbandieravi rettamente
quasi che la sconfitta fosse una vittoria
ansiosa di intimidire lo scirocco che dalle
bocche di bonifacio veniva a dare senso al tuo passo.
Se pure eri zitella, zia delle tue altere masturbazioni
e di tue belle nipoti
ti maritasti infine nel tuffo che ti gonfio’ le vesti
al selciato scrupoloso della strada.
Nelle chiese hanno pregato rituali di pioggia
ed ora piove un diluvio di gocciole
che ci invade senza traccia di santità.
Questi versi si trovano all’interno della raccolta Poesia femminista italiana a cura di Laura Di Nola, datata 1978 edizioni Savelli, con un intervento della stessa Frabotta. La poesia Per Elide rimanda scene viste e riviste, soprattutto in quegli anni dove la donna si relegava all’adempimento di ruoli sociali ”comandati”: etichette prestabilite senza la possibilità di sfuggire a un destino imposto, inchiodata a matrimoni riparatori che ne svilivano l’essenza; tante voci silenziose che senza poter scegliere hanno dovuto subire la prepotenza di un fantomatico qualcun altro che potesse decidere per la loro sorte, mistificando valori i quali altro non erano che arroganza travestita da moralità e violenza psicologica, proprio come poetessa femminista scrive, accoratamente, in Seconda voce: forzarmi, farmi violenza, aprirmi. Battaglie dolorose consunte dall’impossibilità di avere una voce: la stessa che Biancamaria Frabotta ha tentato di dare a quelle donne, tramite la sua poesia.
Stella Grillo
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