Giocare con le bambole, con le Barbie per esempio, aumenta l’empatia, le abilità sociali e sviluppa il linguaggio relazionale. Questo il risultato di una ricerca condotta dallo storico marchio Mattel, detentore dell’iconica bambola Barbie, e da un gruppo di neuroscienziati dell’Università di Cardiff. Il 2023 è l’anno in cui debutterà nella sale il primo film dedicato all’iconica bambola che ha fatto innamorare stuoli di bambini; ma, effettivamente, qual è la valenza psicologica che può avere l’attività ludica sulla personalità e lo sviluppo di un bambino? A quanto pare, i benefici sono abbastanza tangibili.
Barbie, un bambino che gioca con le bambole acuisce l’empatia e le capacità di elaborazione delle informazioni sociali
Per la prima volta le neuroscienze esplorano i benefici del gioco con le bambole nei bambini. Quando un bambino si diletta a giocare da solo con la propria Barbie, o qualsiasi altra bambola, l’attenzione dei loro discorsi e si rivolge principalmente ai pensieri e alle emozioni degli altri. Barbie® e i neuroscienziati dell’Università di Cardiff hanno collaborato a uno studio in cui si dimostra come giocare con le bambole stimoli le capacità di elaborazione delle informazioni sociali e l’empatia.
A quanto pare, parlare degli stati d’animo altrui permetterebbe al bambino di entrare in sinergia con le propria intelligenza emotiva, nonché con le proprie capacità relazionali da utilizzare nell’interazione con le altre persone. Si è scoperto, attraverso tecniche di neuroimaging, che questa pratica ha degli effetti benefici a lungo termine sullo sviluppo emotivo del fanciullo. L’esperienza ludica è da considerarsi essenziale e mai come una perdita di tempo, poiché è promotrice della neuroplasticità, ovvero la capacità del sistema nervoso di adattare la propria struttura in risposta a stimoli interni o esterni.
Lo studio e i risultati
Sulla rivista scientifica Frontiers in Human Neuroscience è stato pubblicato lo studio “Analisi dei benefici del gioco con le bambole attraverso la neuroscienza” commissionato da Mattel, azienda creatrice del marchio Barbie, e da un gruppo di neuroscienziati dell’Università inglese di Cardiff guidato dalla dottoressa Sarah Gerson. La ricerca sottolinea un concetto noto come Internal State Language, ovvero la predilezione dei bambini a parlare di pensieri ed emozioni degli altri acuita nell’azione ludica con le bambole. Ricreare giocando una scena con una Barbie, quindi, comporterebbe attingere ai propri linguaggi interni mettendo in pratica l’empatia. La Dott.ssa Sarah Gerson, che ha guidato il gruppo di neuroscienziati dell’Università di Cardiff , ha spiegato:
“Quando i bambini creano mondi immaginari e fanno giochi di ruolo con le bambole, in primo luogo comunicano a voce alta e poi internalizzano il messaggio sui pensieri, le emozioni e i sentimenti degli altri. Questo può avere effetti positivi duraturi sui bambini, come favorire livelli più alti di elaborazione sociale ed emotiva, oltre che sviluppare capacità relazionali, come l’empatia, che possono essere internalizzate per dare origine e rinforzare abitudini che durano per tutta la vita”.
Come si legge anche sul sito ufficiale di Mattel:
Lo studio ha monitorato l’attività cerebrale nei bambini di età compresa tra 4-8 anni mentre giocavano con una varietà di bambole e playset Barbie. I risultati più rilevanti interessano i bambini di entrambi i generi.
Attraverso la tecnica di neuroimaging, lo studio ha potuto constatare gli effetti del gioco con le bambole, anche quando i bambini erano da soli nella loro attività ludica. Attraverso il monitoraggio dell’attività del cervello effettuato su un campione di 33 bambini tra i 4 e gli 8 anni che giocavano con alcune Barbie, si è potuto rilevare come il solco temporale superiore (pSTS) si attivasse anche quando i bambini giocavano da soli.
Quest’area, sita nel lobo temporale, è associata all’elaborazione delle informazioni sociali, all’empatia, al riconoscimento del movimento, l’elaborazione del linguaggio, e alla capacità di identificazione. I benefici tratti dal gioco individuale con le bambole si sono dimostrati i medesimi sia per i bambini che per le bambine.
La Dottoressa Sarah Gerson ha affermato:
“Questi dati sono una vera rivelazione. Attiviamo quest’area del cervello quando pensiamo ad altre persone, ed in particolare a ciò che pensano o che provano. Le bambole incoraggiano i bambini a creare i loro piccoli mondi immaginari, a differenza di quanto facciano i giochi di risoluzione dei problemi o le costruzioni.”
Lo studio condotto dalla dott.ssa Sarah Gerson è stato pubblicato nel 2020 e nell’autunno dello stesso anno sono stati diffusi i primi risultati. Tale ricerca esplora gli effetti del gioco con le bambole sia a breve che a lungo termine, con nuove fasi di ricerca e risultati condotti fino al 2024.
Il gioco in psicologia, Freud e Piaget
Giocare è un’attività imprescindibile per lo sviluppo psicologico e della personalità di un bambino. Il primo a intuire tale potenzialità è Freud che, osservando l’attività ludica dei bambini, teorizza nei maschi il tentativo di imitare il padre e ricoprirne il ruolo, mentre nelle bambine l’attuazione di un’autorità che in quanto femmine viene negata. Sigmund Freud nel gioco riscontrerà l’attivazione del processo di identificazione, mediante cui un individuo costruisce la propria personalità assimilando e interiorizzando uno o più tratti di altri individui e modellandosi su quest’ultimi.
Secondo il padre della psicoanalisi, il gioco sarebbe fondamentale per supplire ad alcuni timori interiorizzati dai bambini; sarebbe utile per superare alcune paure, in quanto attraverso l’atto del giocare si trasferisce l’oggetto del timore su un altro oggetto che risulta familiare e, quindi, meno pericoloso. Lo psicologo tedesco Karl Groos, invece, interpretava il gioco come un pre-esercizio preparativo alla realtà: una sorta di momento propedeutico alla vita adulta.
Jean Piaget teorizza tre stadi di sviluppo del comportamento ludico:
- Giochi di esercizio: primo anno di vita, fase “senso-motoria”. Il bimbo afferra, dondola, porta alla bocca gli oggetti.
- Giochi simbolici: dai due ai sette anni di vita, fase ”preoperatoria”. Si sviluppa la capacità di immaginazione e di imitazione ( gioco del far finta).
- Giochi di regole: dai sette agli undici anni, fase “operativa concreta”. Il bambino ha maggiore aderenza alla realtà, sperimenta la vita di gruppo e si trova di fronte a “regole” che è tenuto a rispettare.
Il fanciullo avendo un pensiero egocentrico e non riconoscendo gli altri come soggetti con pensieri propri, crederà che ogni cosa esista in sua funzione. Per Piaget lo sviluppo intellettivo del fanciullo passa attraverso due fasi: Assimilazione e Accomodamento. Lo psicologo svizzero definirà tali processi anche invarianti funzionali, in quanto costantemente presenti seppur più duttili in giovine età.
Barbie, l’empatia e la dimensione affettiva dei bambini attraverso il gioco: le teorie di Vygotskij e Winnicott
Lo psicologo russo Lev Vygotskij, invece, considerava il gioco come attività fondamentale per l’implemento della dimensione affettiva del fanciullo; non solo cognitiva come accade in Piaget, quindi. Il gioco è la risposta che il bimbo elabora per soddisfare i propri bisogni, seppur nella dimensione fantastica. A tal proposito, Vygotskij aggiunge all’importanza del gioco anche il contesto sociale.
Per Donald Winnicott giocare significa scandagliare sé stessi e il mondo circostante anche, e soprattutto, attraverso l’oggetto transizionale; elemento chiave della teoria di Winnicott. L’oggetto transizionale pian piano sostituisce il legame simbiotico madre-figlio, donando conforto psicologico al bimbo. Fra gli esempi più comuni di oggetti transizionali ci sono proprio le bambole, i peluche o le coperte: fra i più noti, l’iconica “coperta di Linus“ dei Peanuts. Il gioco permette al piccolo di prendere consapevolezza del proprio sé, distaccarsi dalla figura di accudimento e di acuire la propria creatività. Solo nell’azione ludica, infatti, il soggetto riesce ad essere creativo, poiché libero dalle imposizioni del mondo, e a fare uso della propria personalità senza filtri; ed è solo attraverso la creatività che un bambino – ma anche un adulto – può scoprire il proprio sé, riconoscendosi nella la propria personale dimensione.
Stella Grillo
Photo Credits – Anbmedia.com
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