Francesco Coco, nato a Terralba il 12 Dicembre 1908, è stato il procuratore generale di Genova ed è passato alla storia come la prima vittima rivendicata dalle Brigate Rosse, durante gli anni di piombo. Era l’8 Giugno 1976. Il procuratore sta tornando a casa dal Palazzo di Giustizia di Genova, quando viene sorpreso insieme ai due uomini della scorta, il brigadiere Giovanni Saponara e l’appuntato Antioco Deiana, da cinque uomini armati.
L’omicidio avvenne sugli scaloni della Salita di Santa Brigida, una traversa della centralissima via Balbi a pochi metri dall’Università degli Studi e dalla stazione ferroviaria di Genova Piazza Principe. Dopo essersi laureato in giurisprudenza, Francesco Coco ha dedicato la sua vita alla battaglia contro il banditismo sardo. I pretori della sua procura lo hanno considerano un reazionario che insabbiava le inchieste e l’opinione pubblica non è da meno: boia dei capitalisti, fascista, servo del potere. Coco diventa così presto un bersaglio pubblico.
Negli anni di guerra presta servizio al distaccamento di Artiglieria di stanza a Macomer. Nel 1956 si unisce in matrimonio con l’oculista Paola Ciuffo, dalla quale avrà tre figli: Maria Giovanna, Daniela e Massimo.
Nelle vesti di sostituto procuratore prima di Nuoro e poi di Cagliari ha firmato trenta ergastoli. Intorno al 1971 diventa una vittima designata a seguito delle sue indagini sull’omicidio del procuratore della Repubblica Pietro Scaglione per mano della mafia. I rapporti tesi con le Brigate Rosse si infiammano a partire dall’interruzione da parte di Coco della trattativa con la procura di Genova che prevedeva la liberazione di Mario Sossi in cambio della scarcerazione di otto detenuti del gruppo XXII Ottobre.
L’omicidio di Francesco Coco: dalla propaganda alla lotta armata
Francesco Coco è stato definito la prima vittima eccellente, l’omicidio venne per la prima volta rivendicato dalle Brigate Rosse come una «rappresaglia esemplare». In un tribunale di Torino, dove in quel momento si sta svolgendo il primo processo a carico del nucleo storico delle Brigate Rosse, uno degli imputati legge il messaggio di rivendicazione del triplice omicidio. Si tratta del primo attacco delle Brigate Rosse al cuore dello Stato.
Per la prima volta il gruppo terroristico decide di uccidere con premeditazione e calcolo, segnando il passaggio dalla innocua propaganda alla violenta lotta armata. “Per favore possono sapere chi fu a ucciderlo?” Questa è la domanda che ha più volte posto il figlio di Francesco Coco, Massimo, che aveva quindici anni quando suo padre è stato ucciso. Il 5 giugno 1975, in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine intervenute per liberare l’industriale Vallarino Gancia rapito dai brigatisti solo il giorno prima, era caduta Margherita Cagol, “Mara”, moglie di Renato Curcio. All’omicidio Coco le Brigate Rosse affidavano dunque la loro vendetta per la perdita della “compagna” Mara.
La signora Coco dovette telefonare personalmente al presidente Leone per farsi riconoscere finalmente la pensione: “Ho tre figli, dobbiamo mangiare”.
Omicidio senza colpevoli
I cinque killer terroristi non hanno ancora oggi un volto. Secondo il brigatista collaborante Patrizio Peci, che riferì presunte confidenze di Raffaele Fiore, peraltro non coinvolto direttamente, avrebbero partecipato tutti i principali clandestini dell’organizzazione. Nel corso degli anni i sospetti si sono accentrati su Rocco Micaletto, Mario Moretti, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli e Riccardo Duro. Tuttavia non si sono raggiunte conferme a questa testimonianza indiretta.
Il giorno in cui l’avrebbero ammazzato, le Brigate Rosse l’avevano stabilito molti mesi prima. È una morte annunciata, persino da scritte comparse pochi giorni prima sui muri della città (“Uccidendo Coco, uccideremo gran parte dello Stato borghese”). Doveva essere ucciso il 5 Giugno 1976, l’anniversario della Spiotta, ma quel giorno rincasò più tardi del previsto. Per questo un commando dell’organizzazione colpì lui e la sua scorta solo tre giorni dopo. L’attentato a Coco doveva dimostrare che l’organizzazione non era stata sconfitta, che, al contrario, era in grado di elevare il livello dello scontro.
Nel 2021 è stato pubblicato il libro “Gli orrori della colonna infame, la storia del giudice Francesco Coco che sfidò le brigate rosse fino alla perdita della vita” di Giuseppe Deiana, per mantenere sotto i riflettori una vicenda che non sempre viene ricordata. Passata più volte in sordina all’ombra di altri grandi attentati verificatesi durante i sanguinosi anni di piombo.
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Eleonora Ceccarelli