Era il marzo scorso quando il saggista Luca Beatrice, autore di un articolo su “Libero” dal titolo “l’insopportabile maschio di sinistra”, si chiedeva, scordando probabilmente i difetti, cosa trovassero di affascinante le donne in un uomo che infila dappertutto l’aggettivo ‘etico’, mangia vegano e parla sempre di solidarietà.
Adesso, a fine estate, possiamo capovolgere la questione e con un filo di ironia domandarci: ma cosa ci troveranno mai le ragazze nell’uomo della destra tricolore? Riavvolgiamo il nastro per ritornare alla polemica di ferragosto. Capita che un generale della Folgore, Roberto Vannacci, scriva in un libro perle di filosofia spartana: i gay non sono normali, le femministe sono moderne fattucchiere e i tratti somatici di Paola Egonu non rappresentano l’italianità. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, opta per il trasferimento del militare: apriti cielo. Forza Nuova offre subito un seggio all’ufficiale ribelle, Matteo Salvini invoca la libertà d’espressione mentre una truppa di Fratelli d’Italia difende parole e operato dell’eroe di guerra.
Il palcoscenico assume tratti solenni: i patrioti si stringono intorno ai valori dell’uomo tradizionale, violati e calpestati da mondialisti e traditori, mentre il generale, quasi moderno Cincinnato, è restio ad abbandonare l’orto: “Sono un soldato”. È il mito della patria e dell’eroe, dell’uomo di marmo, dell”Io ho quel che ho donato’ inscritto su pietra all’entrata del Vittoriale degli italiani.
Sembra quasi di udirlo quel grido di battaglia, ‘Alalà’, prima dell’assalto, la cavalcata delle valchirie, il Vate d’Italia che scandisce davanti a un’adunata oceanica: “Siamo trenta d’una sorte e trentuno con la morte”.
Peccato che l’uomo di destra, almeno quello tricolore – con buona pace dei Vannacci – non ha l’estetica di Gabriele D’Annunzio, la profondità intellettuale di Oswald Spengler e l’eroismo di Teseo Tesei. Non si fa più trovare in direzione ostinata e contraria come Indro Montanelli. Somiglia assai più a quella pletora di “yesman”, sbarbati e in mocassino, che hanno osannato Indro per una vita salvo poi voltargli le spalle quando il maestro toscano ha osato scomunicare il padrone del vapore: Silvio Berlusconi.
Non è vero – al contrario di quanti sostengono i progressisti– che non esiste una cultura di destra: esiste eccome, Ortega y Gasset andrebbe insegnato nelle scuole. Il guaio è che l’uomo di destra – quello cresciuto con la fola che con la Divina Commedia non si mangia – finge di ignorarla persino quando la conosce. Alla beffa di Buccari, predilige le facezie del Billionaire e – stavolta con buona pace del ministro Gennaro Sangiuliano – alla poesia del patriota Dante preferisce la poetica dell’imprenditore Flavio Briatore.
Ricordo il discorso di Pietrangelo Buttafuoco, autentico intellettuale di un tradizionalismo in via d’estinzione, a una platea composta da giovani sovranisti: “Quando vedete le facce dei candidati repubblicani alle Primarie, ecco quello è tutto il contrario di quello che aveva sognato Ezra Pound, ecco quello è tutto il contrario di quello che aveva cantato D’Annunzio o Marinetti, ecco quello è tutto il contrario di quello rispetto a ciò che si era forgiato nelle trincee della prima guerra mondiale”.
Quelle parole sono volate via alla stessa velocità di un quadro di Boccioni. Anziché in piedi tra le rovine – il comandamento di Julius Evola – l’uomo di destra preferisce stare seduto a Cortina come in un film di Vanzina. Al Dio, Patria e Famiglia di mazziniana memoria, ha da tempo anteposto il “sole, whisky e sei in pole position” del mitico Guido Nicheli. Sarà pure una libidine, ma quest’individuo – che all’inizio del novecento avrebbe rivendicato il gusto della differenza, della diffidenza e dello snobismo– è diventato oggi il prototipo dell’uomo massa. Anziché l’elitarismo di un Andrea Sperelli, che nel Piacere schifava quel “grigio diluvio democratico che molte cose rare e belle miseramente sommerge”, gli garba inseguire il Bianconiglio della Fininvest: è l’uomo d’affari (tipo Sauli in Fratelli d’Italia) con la Ferrari nuova, la moglie trofeo e la fabbrichetta.
Magari, anzi sicuramente, è un tipo assai più simpatico di un soldato prussiano con l’elmetto chiodato sulla testa: ma quanta fatica fargli ammettere che, no, non ha votato a destra perché è pronto alla morte quando l’Italia chiama, ma semplicemente vuole pagare meno tasse, auspica di non incontrare migranti sotto casa e non gradisce sborsare manco un euro per i connazionali in difficoltà, naturalmente alla faccia del patriottismo.
Nulla di grave, se non fosse che poi viene a raccontarci di quanto “si sente cristiano e italiano”, predicando sermoni sull’identità e praticando il più feroce darwinismo sociale, anche contro i compatrioti: non vuole l’Italia più forte, desidera la tasca più gonfia grazie alla flat tax. Il tutto però – ed è la parte che infastidisce di più – condito da una retorica vuota sui valori all’insegna della più sfacciata ipocrisia.
Il suo nazionalismo, espresso pure a colpi di bandierine tricolore sui social, ha ben poco della cultura del dono: è piuttosto un fastidio come quello che prova quando gli si dice che in Francia fanno le barricate per diritti che noi italiani abbiamo ceduto con tanto di biglietto di ringraziamento, e lui – anziché prendere consapevolezza della coscienza civile che alberga oltralpe – replica a Gioconda rubata (se raffinato) o a bidet rimosso (nel caso sia particolarmente greve).
Con la massima del Casanova nel cuore (la virtù non è nel ben fare, ma nel ben nascondere), gli amici di destra non si distinguono più dall’uomo della strada: hanno conquistato l’egemonia in un Paese in cui è meglio forse non averla se si tiene al buon gusto. “La risposta delle masse è di sinistra con un lieve cedimento a destra”, cantava quel genio di Giorgio Gaber in “Destra e sinistra”. Adesso il cedimento è ormai diventato valanga, ma viene da chiedersi: Cosa penserebbe D’Annunzio di voi?