La premessa narrativa di un monster movie è di facile interpretazione. Anzi, facilissima. Ci sono i mostri, ci sono gli umani che cercano di sopravvivere e c’è la distruzione. Nel caso di Godzilla vs. Kong del 2021 c’erano anche Godzilla e Kong, appunto, che se le davano. E funzionava egregiamente per quello che doveva fare. Nel caso di Godzilla e Kong – Il nuovo impero, in uscita nelle sale il 27 marzo, la premessa è sempre la stessa. Botte, distruzione e mostri giganti. E, da questo punto di vista, il film funziona perfettamente. Ma è veramente l’unica discriminante che ci permette di giudicare una pellicola del genere? Decisamente no, dal momento in cui qualsiasi forma di messa in scena perde di forza rispetto ad altri capitoli e quella stessa premessa non viene mantenuta come dovrebbe. La giocoforza (tutta americana) di voler inserire personaggi umani che diventano ombre inutili di fianco ai Kaiju stavolta (più di altre) non regge decisamente il peso dei mostroni che si menano. La necessità spasmodica di un filo narrativo che diventa astruso e forzato, questa volta fa fare un necessario passo falso ai Godzilla e Kong del MonsterVerse. Ma non per colpa loro.

Godzilla e Kong – Il nuovo impero: pretesto

Godzilla e Kong – Il nuovo impero: i due protagonisti in una scena del film

Se in Godzilla vs. Kong la linea narrativa dei complottisti era la parte divertente del film e che, in un certo modo di vederla, funzionava nel macrocosmo dei combattimenti tra Kaiju, in questo capitolo non vi è un singolo dialogo o personaggio che riesca a portare qualcosa in più rispetto a quanto non faccia lo stesso Kong con un verso o un pugno. Ed è un problema, quando si vuole necessariamente far fare un percorso narratologico e tentare di dare un senso al marasma di elementi in gioco. Delle iterazioni recenti tra mostri e cinema solo il meraviglioso Godzilla: Minus One riesce ad unire il monster movie al dramma personale e di un popolo. Tutto attraverso un grande e fantastica metafora. Ma tant’è.

Kong ormai vive stabilmente nella Terra Cava, dove caccia e cerca inutilmente altri come lui. Godzilla, invece, vive sulla terra e uccide i titani che di tanto in tanto appaiono sulla superficie terrestre. In una scena fantastica, un mostro gigante appare a Piazza Navona e prontamente Godzilla lo uccide frantumandolo contro l’Altare della Patria, in un azione anche un po’ anarco-riformista. Si ritirerà a riposare dentro il Colosseo, rendendo il mostrone ufficialmente romano d’adozione. I due dovranno necessariamente unire le forze per distruggere una nuova minaccia in arrivo direttamente dalla Terra Cava, una scimmia che ha preso il controllo del territorio e trama per tornare sulla terra e conquistare il mondo. In questo contesto, si unisce la volontà, tirata per le orecchie, di spiegare le leggende dietro Skull Island e l’esistenza dei mostri sulla terra. Tutto poco funzionale e pretestuoso per far menare le mani.

Trovare la propria dimensione

Adam Wingard sembra aver trovato ormai la sua dimensione registica. Dopo un’esordio psichedelico e autoprodotto con Pop Skull e un grande home invasion come You’re Next, ha trovato la sua forma con film divertenti e che ragionano. Unico (enorme) neo l’adattamento live action di Death Note, film disastroso e sbagliato. Ma nel cosmo monster movie Wingard trova la sua forma con un secondo film in cui si sente la sua voglia di divertimento. Godzilla vs. Kong era anche intelligente, oltre che mero blockbusterone. Qui in Godzilla e Kong, invece, lo squilibrio passa più che altro per una sceneggiatura che vuole per forza dire, ma che finisce per fare il più classico degli spiegoni. Quando si tratta di botte, invece, il film torna più o meno in carreggiata, con alcune sbavature di troppo. Ed è proprio questo il punto. Chi vede una pellicola così si interesserà decisamente poco ai perché e tanto ai come. E i come vengono mostrati egregiamente e senza fronzoli. La capacità di balzare dal moster movie al dramma passa più per la cinematografia giapponese (che ha dominato il genere negli anni Cinquanta, sua epoca d’oro) che da quella americana, che tanto più si concentra sulla forza degli effetti e della distruzione.

Alessandro Libianchi

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