Questa notte sono stati assegnati, finalmente, i 96esimi premi Oscar dalla Academy of Motion Pictures Arts and Sciences. Probabilmente, quella di stanotte è stata la serata degli Oscar più scontata e telefonata degli ultimi anni. Senza veri e propri ribaltoni di sorta, tutte le statuette (o quasi) degli Oscar 2024 sono andate a chi di dovere. Tanti gli assenti ingiustificati e tante le premiazioni scontate, in una serata ristretta e che è filata liscia come l’olio all’insegna della prevedibilità . Ma è giusto così, non ci si può lamentare. Perché, con gli Oscar, la polemica è davvero dietro l’angolo. E quindi meglio una serata sottotono rispetto agli anni passati che settimane e settimane di futili discussioni da bar su questo o quest’altro vincitore.
Quella di Los Angeles è stata una serata tutto sommato positiva, che ha seguito la strada giusta senza mai mezza sbavatura o problema insormontabile di sorta. Una notte all’insegna di premi democratici che più democratici non si può. E i fasti di momenti giganti come lo schiaffo di Will Smith o Warren Baetty che sbaglia il vincitore del miglior film lasciano il posto ad una serata piatta, sopita e sorprendentemente veloce. Ad aumentare il carico da novanta su di una serata contenuta si aggiunge la Rai. Evidente la necessita di parlare ad un pubblico generalista (quello di Rai 1) attraverso un canale non verticale sul cinema, ma le aspettative che negli anni Sky ha creato con Canova e Castelnuovo erano davvero troppo alte.
Oscar 2024: Oppenheimer e poco altro
Tra i tanti premi scontati quello che, più di tutti, teneva sulle spine era senza dubbio quello per la migliore attrice. La gara a due tra Lily Gladstone ed Emma Stone si sarebbe conclusa o con un risultato storico (la prima donna di origini nativo americane a vincere) o con un premio ad uno strapotere attoriale da più di dieci anni a questa parte in quel di Hollywood. Due antipodi: la prima con una prova totalmente pacata e impercettibile, la seconda con l’estro, il corpo e la massa. Alla fine a spuntarla è la Stone, alla seconda statuetta dopo quella del 2019 per La LA Land. Ma ci ha sorpreso? Assolutamente no, nessuna delle due avrebbe rubato niente all’altra. Quest’anno, all’Academy, sarebbe andata sempre bene, sarebbe caduta sempre in piedi. Avrebbe forse sorpreso più un’entrata dalla finestra delle vincitrici Sandra Huller che, dopo aver visto Anatomia di una caduta vincere sceneggiatura originale e La zona d’interesse il miglior film internazionale (lei è presente in entrambi) avrebbe potuto reclamare di più. Ma tant’è.
E gli altri premi, invece? Oppenheimer è, ovviamente come preventivato, l’asso piglia tutto della serata. Si porta a casa 7 statuette su 13 nomination. Da miglior montaggio, miglior fotografia e miglior colonna sonora fino a Cillian Murphy per il miglior attore, Robert Downey Jr. per attore non protagonista, regia a Nolan e miglior film. Povere Creature!, oltre alla Stone, trionfa anche nei costumi, nel trucco e parrucco e scenografia fermandosi a 4 Oscar su 11 nomination. Le speranze per Io Capitano, invece, erano praticamente prossime allo zero. Trionfa infatti Jonathan Glazer con il suo La zona di interesse e il lavoro liminale fatto sull’olocausto. Barbie esce totalmente sconfitto: 1 sola statuetta portata a casa. Ed è Billie Eilish ad aggiudicarsela con What was I made for? e, a soli 22 anni, diventa la più giovane vincitrice di ben 2 premi Oscar (l’altro arrivò per No Time to Die). Sorprende la vittoria di Godzilla Minus One per gli effetti visivi che con un film giapponese a (relativamente) basso budget che batte dei colossi come Mission: Impossible, Napoleon o il più quotato The Creator. Anche American Fiction sorprende vincendo la categoria della migliore sceneggiatura non originale surclassando sia Oppenheimer, sia Povere Creature!, sia La zona d’interesse. Ma è un film di denuncia che strizza l’occhio agli Oscar e va bene così.
Politica e Al Pacino
Insomma, a parte un paio di titoli non ci sono state sorprese. Anche Wes Anderson riesce a portarsi a casa una statuetta per il suo cortometraggio La meravigliosa storia di Henry Sugar non presenziando neanche alla cerimonia. Proprio come Hayao Miyazaki che dopo 10 anni vince miglior film animato (perché esiste ancora una categoria che premia una tecnica di fare cinema?) con Il ragazzo e l’airone. La parte più interessante della serata è quando si inserisce la politica all’interno di un premio così mondano. Che poi, a ben vedere, la politica c’è sempre stata. Ma mai come in questo periodo, le parole di Jonathan Glazer sul conflitto a Gaza risuonano nel Dolby Theatre. E mai come ieri era fondamentale far sentire la voce palestinese in un evento così importante, grazie anche alle proteste fuori dal teatro. Ma così come il discorso amarissimo di Mstyslav Chernov, vincitore del miglior documentario con il suo 20 giorni a Mariupol che dice “non avrei mai voluto girare questo film”. Poche, flebili ma buone prese di posizioni che non fanno mai male. Ed è il momento finale, quando Al Pacino deve consegnare il premio al miglior film ad essere specchio della serata. Si dimentica di annunciare con la classica formula “And the Oscar goes to…” e legge direttamente il titolo del film. Quasi a voler andare di corsa, un po’ come tutti noi alle tre di notte passate.
Alessandro Libianchi
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