Secondo Gianni Canova in Ignorantocrazia, sono rimasti pochissimi grandi autori capaci di raccontare la borghesia. Tra quelli citati c’è, ovviamente, anche Luca Guadagnino. Ed è esattamente così. In un mondo-cinema in cui si tende a raccontare la periferia e la solitudine dei margini, la capacità di mostrare (e narrare) il mondo borghese nelle sue incongruenze e vacuità sembra appannaggio di pochi. Di poche figure che quasi “possono permetterselo” in quanto grandi autori, e non perché il borghese sia degno di essere raccontato. Guadagnino, di diritto, rientra fra questi. E in Challengers dimostra ancora una volta la sua capacità viscerale di saper far esprimere quel mondo attraverso le immagini. Lo aveva mostrato con Chiamami col tuo nome, in cui una famiglia alto-borghese del nord Italia anni Ottanta era parte fondamentale del racconto. In quest’ultima pellicola lo fa attraverso lo sport definibile borghese per eccellenza (insieme forse solo al golf), il tennis.

Ma Challengers effettua uno scarto ulteriore rispetto alla sola racchetta. Non espone lo sport come elemento caratterizzante di classe, ma come metafora di un rapporto amoroso, come veicolo e rappresentazione dei rapporti umani. Attraverso il tennis, in Challengers, i rapporti umani si formano, si consolidano o si sbriciolano e lo sport diviene la vera discriminante nella creazione delle relazioni umane. Perché il racconto di Challengers è, in realtà, quello di una relazione a tre, tra due uomini e una donna. E proprio come in una partita di tennis, a comandare alla fine è la palla, contesa tra due avversari che non possono fare altro che rispedirla dalla parte opposta del campo. In base a come la colpisci, la pallina sarà dalla tua parte, oppure potrà farti perdere il match.

Challengers: set, game, match

Tashi Duncan (Zendaya) in Challengers

Challengers, teoricamente, è un film romantico. Ma in quel genere, l’obiettivo finale, di solito, è la lacrima, la commozione. Ecco, in Challengers invece si suda. Anche da spettatori, per rimanere seduti a seguire il montaggio frenetico del film si percepisce indistintamente la fatica dello sforzo fisico. E tra una racchetta distrutta e l’altra, si entra in connessione con i tre personaggi della storia: Tashi Duncan (una Zendaya fenomenale), Art Donaldson (un Maik Faist più in ombra) e Patrick (Josh O’Connor in stato di grazia). E attraverso una narrazione spezzettata, che salta dal passato remoto, a quello prossimo, fino al presente, veniamo a conoscenza di come il loro rapporto sia nato. Tutto raccontato attraverso il ritorno costante ad una partita di tennis che si sta svolgendo tra Art e Patrick, che sa tanto di sfida con in palio ben più della coppa del torneo.

E ogni colpo, ogni servizio, ogni ribattuta riporta indietro la narrazione ad un nuovo frammento che arricchisce la storia e i rapporti. In questo tempo non lineare, Tashi è il fulcro totale del gioco, vista come la meta da raggiungere tra i due pretendenti (amici da una vita), restando la discriminante nell’arco di circa 20 anni di vita. Tashi Duncan però è stata anche una grande promessa del tennis che, per colpa di un grave infortunio, è costretta a dedicarsi all’attività da coach. Conosce Art e Patrick ad una festa, dove i due perdono entrambi la testa per lei. Ed è già da quel momento che diventa chiarificatore che tipo di personaggio sia Tashi. Una macchina da guerra, il cui unico interessa è e resta il tennis e la vittoria. Non a caso, da il suo numero di telefono solamente a chi dei due vincerà la partita del giorno successivo.

Amore e tennis, tennis e amore

In questo marasma di narrazione alterna, Guadagnino disegna un film che fa della sua forza la capacità di non fermarsi mai. E due sono gli elementi tecnici che, più di tutti, danno vita al ritmo forsennato di Challengers: il montaggio meraviglioso di Marco Costa e le strepitose musiche di Trent Reznor e Atticus Ross che scandiscono un ritmo e una velocità difficilmente dimenticabili. Un film forsennato, legato a stretto filo al sua trama d’amore, ma ancora di più a quella del tennis. Ed è proprio quando racconta lo sport che il film acquista ancora più forza di quanto non faccia già. In particolare, nella figura di Tashi che, grazie anche a Zendaya, diventa il punto di incontro tra le due istanze. Anzi, è proprio lei a farle combaciare. E a poco servono i sudatissimi ed epidermici momenti di Mike Faist e Josh O’Connor se c’è una Zendaya che buca lo schermo anche con un paio di occhiali da sole. Guadagnino quindi firma ancora una volta un grandissimo film, grazie anche alla sua espertissima e riconoscibilissima mano registica. Challengers è quindi l’ennesima grande firma da parte di Guadagnino, capace, a partire da una sceneggiatura di Justin Kuritzkes, di creare un ennesimo affresco sull’amore, sui rapporti umani e sulla borghesia tanto legata al successo e alla vittoria.

Alessandro Libianchi

Seguici su Google News