Torna in concerto nella sua città Giorgio Poi,  dallo scorso inverno in giro per l’Italia per promuovere il proprio debutto da solista,
“Fa Niente” (pubblicato da Bomba Dischi in febbraio), interessante seguito delle precedenti esperienze internazionali maturate a seguito delle band Vadoinmessico e Cairobi.

Tanto e bene si è detto/scritto fino ad oggi dell’esordio di Giorgio Poi, di conseguenza diverse centinaia di curiosi hanno affollato ieri sera il Monk Live Club di Roma: intorno alle 23:35 il Nostro sale sul palco, imbracciando la chitarra elettrica, seguito poco dopo da Matteo Domenichelli (basso) e Francesco Aprili (batteria).

In poco più di un’ora ci sarà spazio per l’esecuzione di una dozzina di brani: tutte le canzoni dell’esordio – compresi i due brevi stralci strumentali – più due cover (“Ancora ancora ancora” di Mina e “Il Mare d’inverno” di Loredana Berté) e un paio di pezzi usciti solo di recente, “Semmai” e “Il tuo vestito bianco”, quest’ultima riproposta anche in chiusura come unico e applauditissimo Bis.

Il primo aspetto che colpisce è certamente la voce, il timbro vocale di Giorgio Poi: tutto di testa e naso, un colore metallico e androgino che lo avvicina a un ipotetico personaggio da film Disney venuto da un’altra galassia. Quando canta – che sia dal vivo o in radio o su disco – lo riconosci subito e questo è già un fondamentale punto a suo favore, piacciano o meno le sue sonorità.

La forma canzone è quella di un Indie Pop colorato, vagamente esotico, arricchito da suoni asciutti e arrangiamenti complessi al servizio di brani comunque orecchiabili e accessibili, rispetto ai quali si è parlato facendo accostamenti diversi, dai classici del cantautorato italiano (Battisti e Dalla e i loro album degli anni Settanta) fino a riferimenti più moderni giunti da oltreoceano (Mac DeMarco; Real Estate).

Undici anni vissuti suonando all’estero (Giorgio ha abitato prima a Londra, poi a Berlino e solo quest’anno è tornato in pianta stabile nel nostro Paese) e soprattutto scrivendo/cantando in inglese avevano accresciuto la curiosità di fans e addetti ai lavori riguardo il passaggio alla lingua italiana, per di più sotto l’egida di un’etichetta parecchio in voga negli ultimi anni come la Bomba Dischi: la prova è stata superata, complici testi legati a una poetica rilassata e sognante del quotidiano, ricca di riferimenti autobiografici quanto a luoghi e persone descritte.

L’esperienza concertistica recente (ricordiamo le apparizioni a “Radio 2 Live” in Rai e “E poi c’è Cattelan” su Sky Uno) ha rafforzato molto la sintonia e il feeling dei tre musicisti – fondamentale se pensiamo che il disco, viceversa, è stato scritto e arrangiato inizialmente dal solo Giorgio Poi – con risultati interessanti specie nei momenti di divagazione strumentale, affidata soprattutto alla chitarra elettrica supportata dal basso (quasi sempre filtrato da un effetto Flanger dagli esiti psichedelici) e talvolta da un synth.

Tubature” e “Niente di strano” le canzoni più cantate e applaudite del viaggio sonoro; come già scritto, piace la schiettezza e quell’humour un po’ sonnolento/onirico del pop di Giorgio, antidivo di poche parole, lontano da pose da rockstar o atteggiamenti sopra le righe. Ne guadagna senza dubbio la serata, piacevole e senza momenti morti, testimonianza originale della ‘nuova scena italiana’ di questi anni.

Ariel Bertoldo