L’ex colonia italiana sembra non avere pace, dal 1991 la spirale di violenza in Somalia non si è arrestata neanche di fronte ai Marines. L’attentato del 14 Ottobre scorso a Mogadiscio non è che l’ultimo di una serie di attacchi di matrice islamica che da decenni insanguinano il paese.

 

Attentato a Mogadiscio (Foto dal web)

Il gesto è attribuibile alle milizie di Al-Shabab, considerata la formazione terroristica più “prolifica” del continente africano. La loro sfera di influenza supera i confini nazionali, l’attentato al centro commerciale di Nairobi del 2013 e l’incursione alla North-Eastern Garissa University (sempre in Kenya) ne sono una prova. Al-Shabab è nata da una costola delle Corti Islamiche che hanno governato Mogadiscio nel 2006 (unico anno di pace in città) con il sostegno della popolazione.

L’affiliazione del gruppo ad Al-Qaeda viene resa nota solo nel 2012 ma si sostiene che la cooperazione fosse iniziata almeno nel 2009. Attualmente Al-Shabab è divisa al suo interno in due fazioni, una fedele per l’appunto ad Al-Qaeda e l’altra al califfo Al-Baghdadi. Non a caso nei giorni scorsi si è parlato di primi raid anti-Isis in Somalia: dopo essersi interessati al problema pirateria, i paesi occidentali sembrano aver capito che il “problema somalo” non va sottovalutato. La posizione strategica sul golfo di Aden, la sua storica vicinanza ai Sauditi e la sua dimensione africana allo stesso tempo, sono tematiche da tenere in altissima considerazione.

Miliziani di Al-Shabab (Foto dal web)

Ma in particolar modo il vuoto di potere rischia di far diventare Mogadiscio la capitale del terrorismo internazionale e dei traffici ad esso legato, come la Kabul pre-duemilauno per intenderci. Sicuramente dei passi avanti sono stati compiuti, il duro contrasto alla pirateria per l’appunto è stato un colpo non da poco alle finanze degli islamisti. Al-Shabab infatti a differenza dei suoi “colleghi”del Califfato o di Boko Haram, non può avvalersi del traffico di droga o petrolio per finanziarsi.

La povertà cronica che affligge il paese è di fatto croce e delizia dei gruppi terroristici somali. Se da un lato la mancanza di tutto spinge sempre più giovani ad arruolarsi (Al-Shabab vuol dire, appunto gioventù), dall’altro è la stessa formazione islamista che subisce la mancanza di risorse in Somalia e la sua esclusione dai vari traffici, leciti o illeciti. Esclusa la pirateria i suoi fondi derivano dai contributi volontari alla Jihad e dal contrabbando di zucchero con il Kenya. Il paese a causa della sua debolezza è diventato appetibile a tutte quelle potenze che hanno deciso di mettere un piede in Africa, la Turchia in primis. Il governo di Ankara ha stanziato circa quattrocento milioni di aiuti alla Somalia ma soprattutto ha inaugurato la base militare più grande nel continente, con circa 1.500 soldati che ufficialmente avranno il compito di addestrare le forze di sicurezza somale.

Erdogan in visita istituzionale con il presidente somalo Mohamed Abdullahi (Foto dal web)

Lo scacchiere si sta preparando da tempo e ormai sembra pronto per una partita che da queste parti si è fin troppo a lungo rimandata. L’affiliazione di una costola di Al-Shabab all’ISIS ha reso l’intervento straniero inevitabile, le similitudini con la Siria sono poche ma evidenti. Da un lato la povertà della Somalia rende il paese meno appetibile, dall’altra la totale assenza dello stato potrebbe comportare un escalation ben peggiore di quella di Damasco. Dopo la sconfitta di Raqqa, il Califfato potrebbe volgere la propria attenzione verso il continente africano, dove senza ombra di dubbio il terreno è fertile per l’integralismo. Mogadiscio sarebbe la porta d’accesso ideale per l’Africa. La posizione italiana è a dir poco ambigua, dopo un graduale disimpegno dalla regione, Roma ha deciso negli ultimi tempi di rilanciare la cooperazione nel corno d’Africa. Durante il periodo coloniale l’Italia sviluppò importanti infrastrutture nel paese: l’Università, canalizzazioni per la produzione agricola e la ferrovia. I problemi si sono presentati in particolare nel post seconda guerra mondiale, durante il periodo di transizione che si concluse nel 1960 con l’indipendenza somala. In questo arco di tempo gli italiani furono incapaci di creare una classe dirigente valida e immune dalla corruzione, tra i primi problemi attualmente in Somalia. L’indipendenza aprì la strada alla collaborazione tra i due paesi, in particolare nel campo della sicurezza. L’Italia costituì il principale punto di riferimento in questo senso, addestrando le allora neonate forze armate somale. E l’ambito militare rimane uno dei pochi dove la cooperazione sembra ancora in auge con accordi tra i due ministeri della difesa.

Soldati italiani nell’ambito della missione europea di addestramento delle forze somale (Foto dal web)

Tornando al pericolo proselitismo di Al-Shabab, uno dei problemi è per l’appunto la mancanza di attrattiva dell’esercito regolare. In un paese dove la disoccupazione non è un passaggio momentaneo, bensì una condizione permanente, l’unico impiego possibile oltre la pesca è l’arruolamento. La decisione a quel punto è se farlo nelle file delle milizie islamiche o in quelle governative, e qui casca l’asino. Le alte sfere della difesa di Mogadiscio per anni hanno fatto man bassa delle casse statali, rubando i fondi destinati al pagamento dei soldati. Di conseguenza Al-Shabab in molti casi rimane l’unica alternativa per nutrirsi, nel vero senso della parola. Un esempio indicativo sono le mense allestite nelle moschee vicine alle milizie. In questi luoghi ad una madre conviene indossare il velo, imparare i versetti del Corano e partecipare alla preghiera per assicurare i pasti a se stessa e ai propri figli. Questi bisogni primari non possono essere assicurati dal governo centrale. La situazione negli ultimi tempi sembra volgere in meglio, l’interessamento delle potenze straniere si sta spostando dal mare alla terraferma. Prima occorreva salvaguardare le rotte dalla pirateria, risolto questo annoso problema bisogna fare in modo che questa immensa regione non precipiti definitivamente nel burrone sul cui orlo cammina da troppo tempo.

Federico Rago