Un ritratto inedito di Sinwar, uomo poliedrico, leader di Hamas, rivoluzionario in Palestina, terrorista in Israele.
Yahya Sinwar fu il leader di Hamas e figura chiave nella resistenza palestinese. Egli incarna la complessità di una vita segnata dalla lotta armata e dalle sue radici nel trauma della Nakba. Nacque nel 1962 in un campo profughi a Khan Younis, nella Striscia di Gaza. Sinwar ha trasformato la sua esperienza di sfollamento e oppressione in una lotta senza tregua contro Israele, diventando uno dei leader più temuti e rispettati nel panorama del conflitto israelo-palestinese. Figura ambivalente e enigmatica, era conosciuto tanto per la sua brutalità quanto per la sua capacità di guidare e ispirare i suoi uomini. Sinwar ha giocato un ruolo decisivo nel plasmare la strategia di Hamas, sia militare che politica, fino alla sua morte nel 2024.
Le radici della storia di Sinwar: la Nakba e l’avvicinamento ad Hamas (conseguenza della violenza di Israele)
La storia di Sinwar inizia con la Nakba del 1948, l’evento che vide l’espulsione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi dalle loro case. La famiglia di Sinwar era originaria del villaggio di al-Majdal. Fu costretta a fuggire quando la cittadina venne distrutta per far posto alla moderna città israeliana di Ashkelon. Questo episodio segnò indelebilmente la sua vita e la sua visione del mondo, ponendo le basi della sua adesione alla resistenza palestinese. Le ferite della Nakba plasmarono il giovane Sinwar. Appare chiaro che alimentarono in lui un desiderio di vendetta e giustizia che lo avrebbe portato, poco più che ventenne, a unirsi ad Hamas. All’epoca, Hamas era in fase di fondazione, sotto la guida dello sceicco Ahmed Yassin.
Nel 1982, a soli 19 anni, venne arrestato per la prima volta dalle autorità israeliane per “attività islamiche”. Durante questo periodo, consolidò il suo legame con Yassin, diventando presto una figura di fiducia all’interno del movimento. A soli 25 anni, Sinwar contribuì alla fondazione di Al Majd, l’organizzazione di sicurezza interna di Hamas. L’organizzazione era incaricata di punire collaboratori israeliani e chi violava le leggi morali islamiche. La sua reputazione rifletteva un inflessibile rigore e una grande brutalità e si consolidò rapidamente. Secondo fonti israeliane, Sinwar non esitò a punire personalmente i sospettati, anche in modo efferato. Ne risulta il ritratto di un leader spietato e rigido, ma efficace. Un leader duro, che aveva come primo obiettivo quello di mantenere l’ordine e la disciplina nel movimento.
La prigionia ha segnato Sinwar, lo renderà un leader di Hamas che metterà a dura prova Israele
Nel 1988, Yahya Sinwar venne arrestato nuovamente. Lì, fu condannato a quattro ergastoli per l’uccisione di due soldati israeliani (ma anche di dodici palestinesi accusati di collaborare con Israele). Trascorse oltre 22 anni nelle prigioni israeliane, dove (secondo le interviste che lui stesso ha rilasciato) studiò molto. Sembra fu grazie alla prigione che affinò le sue capacità di leader e stratega. Sinwar sostiene che trasformò la prigionia in un’opportunità di apprendimento. Dalle interviste emerge che lì imparò l’ebraico, divorando libri di ex agenti del Shin Bet, l’agenzia di sicurezza israeliana. Poi tradusse e condivise i libri con gli altri prigionieri, per “studiare le tattiche dell’avversario”. La sua capacità di sfruttare ogni occasione per migliorare la sua comprensione del nemico lo fece emergere in prigione. Questo lo rese un punto di riferimento tra i detenuti.
Secondo il dentista israeliano Yuval Bitton, che trattò Sinwar in prigione, quest’ultimo si considerava uno “specialista nella storia del popolo ebraico”. Infatti, non perse mai l’occasione di sfruttare la sua conoscenza per approfondire la strategia di Hamas. All’interno della prigione, Sinwar riuscì a imporsi come leader tra i prigionieri palestinesi. Si dice che gestiva i rapporti con le autorità carcerarie e applicava una disciplina rigorosa. Come osservato da Ehud Yaari, un esperto israeliano di Hamas, Sinwar era capace di mantenere segreti e gestire i rapporti interni con grande astuzia. Questa, secondo gli esperti, è una qualità che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua carriera.
Un aspetto interessante del periodo carcerario di Sinwar è rappresentato dal romanzo che scrisse durante la detenzione, “La spina e il garofano”. Si tratta di una storia di formazione in cui il protagonista, un giovane di Gaza, si ribella all’occupazione israeliana. La narrazione riflette chiaramente la visione del mondo di Sinwar: la resistenza come un dovere morale e la violenza come strumento, in cui il sacrificio personale e collettivo è inevitabile. Questo tema risuonò profondamente nei suoi successivi discorsi e azioni come leader.
Il ritorno a Gaza e la leadership di Hamas
Nel 2011, Yahya Sinwar venne rilasciato come parte di uno scambio di prigionieri che coinvolse il soldato israeliano Gilad Shalit. Al suo ritorno a Gaza, Sinwar trovò un movimento che aveva bisogno di una guida forte, e non perse tempo a riconquistare la sua posizione di leader. Nel 2013 venne eletto nel politburo di Hamas e nel 2017 ne divenne il leader ufficiale nella Striscia di Gaza.
Sinwar dimostrò subito di essere un leader capace di bilanciare pragmatismo politico e resistenza armata. Mantenne i legami con l’Iran, il principale sostenitore militare di Hamas, garantendo il flusso di armi e finanziamenti, ma al contempo cercò di mediare con l’Egitto per mantenere aperti i canali di contrabbando attraverso il Sinai. Tuttavia, il suo ruolo non fu solo quello di negoziatore: secondo il portavoce israeliano Daniel Hagari, Sinwar fu una delle menti dietro l’attacco del 7 ottobre 2023, condotto insieme a Mohammed Deif e Marwan Issa, che inflisse un duro colpo a Israele.
Nel corso del conflitto, Sinwar riuscì a sfuggire ripetutamente ai tentativi di cattura israeliani, nascondendosi nei tunnel di Gaza. Le sue immagini, insieme a quelle dei suoi familiari, diffuse dall’esercito israeliano, mostravano la sua posizione privilegiata all’interno del sistema di tunnel sotterranei che Hamas aveva costruito per proteggere i suoi leader dai bombardamenti.
Sinwar era un punto di riferimento per Hamas e un nemico per Israele
La morte di Yahya Sinwar ha rapidamente alimentato il culto del martire nella narrativa palestinese. Il racconto dei suoi ultimi momenti ha suscitato intrigo e incertezza. Secondo la prima versione dell’e Forze di Difesa Israeliane dell’IDF, Sinwar era stato ucciso da un proiettile di carro armato durante un raid nel campo profughi di Tel al-Sultan a Rafah. Tuttavia, l’autopsia condotta dall’Istituto nazionale forense israeliano, diretta da Chen Kugel, ha rivelato che la causa della morte è stata una ferita da proiettile alla testa, lasciando spazio a speculazioni su cosa sia realmente accaduto negli ultimi momenti di vita di Sinwar.
Sinwar, che portava con sé una pistola che presumibilmente apparteneva a un ufficiale dell’intelligence israeliana ucciso a Gaza nel 2018, potrebbe aver sparato l’ultimo colpo per evitare la cattura, oppure essere stato colpito durante uno scontro con i soldati israeliani. La discrepanza tra le versioni ufficiali ha solo rafforzato il mito del leader caduto in battaglia, trasformandolo in un simbolo eroico per i suoi seguaci.
Dalle descrizioni, Sinwar era un leader che ha affrontato la morte in tenuta da combattimento, lanciando granate contro i soldati israeliani e scagliandosi contro un drone con un manganello. Questo finale lo distingue dai suoi predecessori, come lo sceicco Ahmed Yassin, morto mentre si trovava su una sedia a rotelle. Le immagini di Sinwar come guerriero caduto in battaglia sono rapidamente diventate virali sui social media, alimentando la sua trasformazione in martire. Questo avrà un forte impatto sulle generazioni future ed è innegabile.
Il “culto del martire” attorno a Sinwar alimenterà Hamas e continuerà a renderlo un problema per Israele
Come sottolineato dai successori di Sinwar, la sua morte in combattimento rafforza la sua immagine di eroe della resistenza palestinese. Il suo vice, Khalil al-Hayya, lo ha elogiato per aver combattuto fino alla fine senza ritirarsi, muovendosi tra le linee di battaglia. Questo sacrificio lo ha consacrato non solo a Gaza, ma in tutto il mondo arabo, dove il mito del martire palestinese continua a crescere.
Tuttavia, Yahya Sinwar è stato uno dei leader più influenti e controversi nella storia recente del conflitto israelo-palestinese. La sua vita, segnata dalla Nakba, dalla prigionia e dalla lotta armata, lo ha trasformato in un simbolo per molti palestinesi ma lo ha anche reso un nemico spietato per Israele. La sua vita, fatta di disciplina, strategia militare e violenza, lascerà un’eredità che continuerà a influenzare il futuro di Hamas e della resistenza palestinese, anche dopo la sua morte, perché la sua morte per mano di Israele ne ha fatto un martire. Questa morte ha lasciato un’eredità complessa e potente. La sua vita e la sua morte, avvolte nell’intrigo, segneranno profondamente il futuro della causa palestinese, lasciando dietro di sé un’eredità che, sebbene controversa, continua a influenzare le dinamiche del conflitto israelo-palestinese.
Maria Paola Pizzonia, Autore presso Metropolitan Magazine