«Il destino e in particolare la vita. Il tempo e in particolare il secolo. L’uomo e in particolare il popolo. Dio e in particolare il mondo. Ecco quello che ho cercato di mettere in quel libro». Quando, nel 1862, Victor Hugo diede alle stampe Les Misérables, non avrebbe mai potuto immaginare che, nel 1980, il musicista Claude-Michel Schönberg e il librettista Alain Boublil avrebbero realizzato un musical basato sul suo romanzo. Les Miz, così viene abbreviato dai fan e dagli addetti ai lavori, è stato uno strepitoso successo sin dal suo debutto. Tutt’oggi, infatti, è rappresentato sui palcoscenici più prestigiosi del mondo, pressoché ininterrottamente.

Ora, lo show dei record è finalmente arrivato anche in Italia. Proseguirà, poi, il suo tour mondiale per celebrare i quarant’anni dall’esordio della sua versione inglese. La formula, pensata per le grandi arene, è più simile ad un concerto, o forse addirittura ad un’opera lirica, che ad un musical, ma mantiene al suo interno degli elementi teatrali. Il suo nome completo, non a caso, è Les Misérables- The Arena Musical Spectacular. La faraonica produzione di Cameron Mackintosh ha debuttato al Rossetti di Trieste, dov’è rimasto in cartellone dal 7 all’11 novembre. Dal 14 novembre, fino al 24, sarà invece il Teatro degli Arcimboldi di Milano ad accoglierla. L’edificio, realizzato dall’architetto novarese Vittorio Gregotti, si è tinto di bianco, rosso e blu per raccontare l’epopea, ambientata in un arco temporale che va dal 1815 al 1832, dalla Francia della Restaurazione post-napoleonica alla rivolta antimonarchica del giugno 1832.

Les Misérables: i protagonisti diventano rockstar

Les Misérables
Il cast di Les Misérables- The Arena Musical Spectacula
©Johan Persson

«Ancora una volta», ha dichiarato Mackintosh, «Les Misérables si distingue per essere il primo musical a girare il mondo in una produzione così complessa e maestosa. Questa volta abbiamo creando uno spettacolo grandioso che può essere rappresentato in teatri da 2.000 posti fino ad arene da 8.000 posti, dove il pubblico però non è mai troppo lontano dal palco. In questa versione concerto di Les Misérables, i miei registi e il mio team creativo sono riusciti a combinare la potenza drammatica di una produzione teatrale con il brivido di uno spettacolare concerto rock.».

La sensazione che si prova durante le tre ore di rappresentazione è, in effetti, quella di non trovarsi in un teatro, ma in uno stadio, dove il pubblico interagisce con i personaggi, vere e proprie rockstar. Il cast è stellare, da Killian Donnelly, nel ruolo del protagonista Jean Valjean a Bradley Jaden, nelle carismatiche vesti dell’antagonista Javert.

Eppure, com’era già accaduto nella versione cinematografica del 2012 diretta da Tom Hopper, a fare la differenza non è il singolo, ma l’insieme. Anche il film vantava nomi di rilievo, da Hugh Jackman a Russell Crowe, fino ad Anne Hathaway, che aveva ottenuti il premio Oscar per la sua interpretazione. Il vero punto di forza, però, erano state le scene corali, in cui tutti i personaggi intrecciavano anime e voci, donando solennità e spessore ad ogni dialogo o azione.

Il dolore di uno, la ragione di nessuno, il riscatto di centomila

Il viaggio che Les Miz offre allo spettatore è un turbinio di emozioni, che variano dalla disperazione alla commozione. Difficile restare indifferenti davanti allo stupore di Jean Valjean che, dopo diciannove anni di lavori forzati, scopre la dolcezza della misericordia attraverso il vescovo di Digne, un incontro che cambierà per sempre il corso della sua esistenza.

Ancora più complicato non soffrire con Fantine, sedotta, abbandonata e disincantata da una vita che non le appartiene più e che non le dà tregua. Impossibile, infine, non ammirare il desiderio di riscatto degli studenti che, sacrificando la loro gioventù, si mettono al servizio della patria, per donare alla Francia un futuro migliore.

La parentesi comica dei coniugi Thénardier, con l’irriverente Master of The House, consente allo spettatore di prendere fiato, prima di tornare ad immergersi nella catena di eventi che porta al gran finale. La pietas e l’ingiustizia sociale si mescolano e si respingono, in una danza in cui vincitori e vinti si scambiano continuamente la parte.

Les Misérables: Jean Valjean e Javert, le due facce dell’umanità

Punto focale dell’intera opera, naturalmente, è l’intricato rapporto tra l’ex galeotto Jean Valjean e la sua nemesi, l’ispettore Javert. I due s’incontrano e si scontrano decine di volte nel corso della vicenda, in una caccia al ladro che non sembra arrivare mai ad una conclusione. I due uomini, così diversi, eppure così simili, portano in scena il dilemma posto dall’Antigone, la tragedia sofoclea in cui morale e giustizia sono in antitesi. Javert rappresenta la legge dell’uomo, alla quale è devoto e si attiene in modo scrupoloso. C’è un disegno più grande, e lui lo sta seguendo con convinzione, come si evince dal suo assolo sulle note di Stars. Jean Valjean, al contrario, diviene l’incarnazione umana di una compassione divina. Ha rubato, è vero, ma l’ha fatto per sfamare il figlio di sua sorella. Si è sottratto alle forze dell’ordine, certo, ma per andare a salvare l’orfana Cosette.

Il poliziotto continua a chiamarlo con il suo codice identificativo. Il suo nemico, però, è una persona che, dopo quasi vent’anni di prigione, vuole riappropriarsi del proprio nome, ed associarlo ad opere di bene. Il tema musicale di Who Am I?, che ricorre spesso in Les Miz, racconta di come il numero 24601 torna ad essere semplicemente Jean.

Non sempre ciò che appare giusto lo è davvero, e spesso ribellarsi alle regole scritte è necessario per raggiungere uno scopo più alto. I rivoltosi infrangono i dettami del Governo, ma lo fanno per una buona causa. Il vero antieroe è, tutto sommato, la società, che annienta e non perdona. Ogni individuo è costretto a decidere se soccombere, vittima di qualcuno più scaltro di lui, o se vivere, trasformandosi a sua volta in carnefice. Fantine viene sopraffatta dagli eventi, agnello sacrificale che trova conforto solo nella morte; i Thénardier, al contrario, hanno scelto di diventare lupi senza scrupoli.

Tutte le facce dell’amore: Fantine, Cosette, Éponine

L’amore, in tutte le sue sfaccettature, è il sentimento portante della storia. Fantine è l’epitome del calore materno, che sacrifica corpo e anima per il bene della sua bambina. Un tempo fanciulla fiduciosa , ora è una donna indurita dalle vicissitudini, e la sua I Dreamed a Dream è l’estremo saluto all’innocenza della gioventù. C’è stato un tempo per la spensieratezza e per i desideri tinti di rosa, ma ora è passato. «Now life has killed the dream I dreamed», canta poco prima di consegnarsi a Dio.

Se i sogni di Fantine s’infrangono contro il muro dell’indifferenza, quelli di sua figlia, Cosette, si realizzano. Figura centrale nel romanzo di Hugo, appare molto ridimensionata nel musical, ridotta a un ruolo secondario e, forse, fin troppo superficiale. L’incontro tra lei e Marius appare quasi fuori luogo in un momento di crisi come quello della rivolta, in cui i giovani periscono negli scontri a fuoco. In realtà, però, la loro relazione è la scintilla umana, la tenerezza che mitiga un clima di sconforto e disperazione. Anche nella battaglia, l’amore vince su tutto, e riaccende la speranza persino nei cuori più martoriati.

Una speranza purtroppo negata ad Éponine, eroina tragica e coraggiosa, che dona la sua vita per preservare quella del suo Marius, pur non essendo da lui ricambiata. La ragazza sa di essere sola (la sua canzone è infatti, On My Own), ma accetta il suo destino. Dopo aver compiuto il gesto estremo per il bene dell’amato, muore tra le sue braccia, con la consapevolezza di aver fatto il possibile per aiutarlo. Una felicità che non deriva da ciò che avrebbe potuto ottenere, ma da quel che è stata in grado di donare.

Il popolo di Les Misérables, da massa anonima a coro di speranza

Le vicende dei singoli hanno grande rilevanza ma, come già scritto, alla fine convergono verso un intento comune. La massa di Parigi è un personaggio a sé, che parte come anonima spettatrice degli eventi e finisce per diventare il motore del musical. Le scene di maggior impatto sono proprio quelle di gruppo, aiutate anche dalla magistrale esecuzione dell’orchestra dal vivo. Una delle trovate più interessanti dello spettacolo è, infatti, la costante presenza del coro sul palcoscenico. A volte seminascosto nel buio, altre in prima fila, cede la parola ai solisti ma poi la riacquista.

È una folla oppressa, malinconica e sfruttata, che cova rabbia verso i suoi aguzzini, ma non riesce ad esprimerla. Il punto di svolta in un percorso che sembrava già tracciato è rappresentato da Enjolras, Marius e da tutti gli studenti che scelgono di rompere il silenzio, dicendo no ad un sistema feroce e soffocante, che non li considera alla stregua di uomini, ma come bestie. «Red, a world about to dawn! Black, the night that ends at last» è la loro chiamata alle armi, con l’intenzione di porre fine all’oscurità della Restaurazione e traghettare la Francia verso la luce della democrazia.

Le barricate cadranno e le vite finiranno per mano dei soldati, e il rosso si rivelerà essere quello del loro stesso sangue, che scorrerà per le vie di Parigi. Il sacrificio compiuto, però, non sarà vano. La popolazione, fino ad allora silente, accoglierà la scintilla della ribellione e la farà divampare in una fiamma inarrestabile.

Les Misérables inizia con Look Down, un monito a tenere il capo chino, cantato dai prigionieri, tra i quali figura anche Jean Valjean. Un brano ripetuto verso la metà dello show, a dimostrare come, nonostante il passare degli anni, non sia cambiato poi molto. Termina, però, con la ripresa di Do You Hear The People Sing?, che coinvolge tutto il cast. Il mormorio di malcontento è evoluto in un canto di speranza, e i volti informi dei francesi hanno assunto dei connotati ben nitidi. Parigi prima, e in seguito l’intera Francia, alzano entrambe la testa, e riacquistano la dignità perduta. Gli ultimi forse resteranno ultimi, ma saranno liberi.

Federica Checchia

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