Nâzım Hikmet-Ran, italianizzato in Nazim Hikmet, fu definito per la prima volta “comunista romantico” da niente meno che la figlia di Stalin. Svetlana Alliluyeva Lo apostrofò così dopo aver letto Ma è poi esistito Ivan Ivanovic?, satira contro la burocrazia e la dittatura stalinista, che avevano corrotto il vero sentimento socialista. E Romantic Communist è anche il titolo della sua biografia più celebre, scritta nel 1999 da Saime Goksu e dall’inglese Edward Timms. In effetti, pur aderendo alla visione del mondo proposta dal socialismo, il poeta turco sfida l’autorità e il determinismo storico dei suoi tempi, mantenendo viva la fiamma di un comunismo ideale per le future generazioni.
Biografia di Nazim Hikmet, il comunista romantico
Nella vita come nelle opere, Nazim Hikmet combina il coraggio politico con una sensibilità molto spiccata, quasi sentimentale, verso la natura, le donne e le cose semplici della vita. Nato a Salonicco nel 1902 da una famiglia ottomana cosmopolita, fugge ad Ankara neanche ventenne per unirsi alla resistenza anti-imperialista di Ataturk, che gli consigliò di “fare poesia con uno scopo”. Nazim si stacca presto dal partito nazionalista, denuncia il genocidio degli armeni, ed espatria in Unione Sovietica. Si accende la fiamma d’amore per il socialismo: studia sociologia, si accosta a Marx e fa la conoscenza di Lenin, che ammira subito. Subisce l’influsso delle avanguardie sovietiche capitanate da Majakovskij, Esenin, Mejerchold, i cui stilemi avranno un forte impatto nella sua produzione poetica.
Ritorna in Turchia e critica strenuamente il regime, ma Ataturk lo difende da una repressione eccessiva. Alla morte del presidente, tuttavia, il poeta viene arrestato per i suoi ideali comunisti e anti-militaristi. La condanna è di 28 anni. Sconta quasi dodici anni di detenzione nel carcere di Bursa, in Anatolia. Dopo essere sopravvissuto a torture, infarti e scioperi della fame, una commissione internazionale guidata da Pablo Picasso, Jean-Paule Sartre e Pablo Neruda ne favorisce la scarcerazione, a seguito di un’amnistia. Alla fine il governo turco lo lascia espatriare per Mosca. Siamo nel 1950.
Il ritorno di Nazim nell’Unione Sovietica coincide con l’acuirsi della tensione internazionale. Durante la Guerra Fredda, i rifugiati fuggiti dal blocco sovietico erano considerati eroi che avevano scelto la libertà in esilio, piuttosto che il regime a casa. Per i sovietici era ora possibile celebrare un autore che era andato in direzione opposta e aveva trovato la libertà a Mosca. Ma a Mosca la musica è cambiata, e Nazim era rimasto all’oscuro della repressione politica e culturale dello stalinismo. In quanto ospite straniero, lo tengono sotto stretta sorveglianza, nonostante il suo amore per la causa sovietica. Ciò dimostra la netta differenza tra il socialismo reale e il suo comunismo romantico.
Dedica gli ultimi anni della sua vita alla campagna per la de-nuclearizzazione. Intorno ai sessant’anni si innamora e si sposa per la quarta volta. Nel 1963 una crisi cardiaca dovuta anche ai diversi anni in prigione gli toglie la vita.
La poetica di un esiliato
Nazim Hikmet rivoluziona la poesia e la lingua turca prediligendo il verso libero ad altre strutture più formalizzate. Questa scelta semplifica di molto la lettura, ma al tempo stesso rende il verso un’unità autonoma, da indagare a parte. L’aspetto più innovativo della poetica di Hikmet è che la sua schiettezza spesso non diminuisce il mistero delle immagini che evoca, ma anzi lo fa calare sulla terra, nella dimensione quotidiana dell’uomo. Le sue poesie, dense nello stile, lo sono anche nelle tematiche: dalla nostalgia per la patria e il glorioso passato turco, ai brucianti amori impossibili, ma mai deludenti, passando per riflessioni sul senso dell’arte. Di seguito, il componimento I giorni sono sempre più brevi, del 1948:
I giorni sono sempre più brevi le piogge cominceranno. La mia porta, spalancata, ti ha atteso. Perché hai tardato tanto? Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane. Il vino che avevo conservato nella brocca l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando. Perché hai tardato tanto? Ma ecco sui rami, maturi, profondi dei frutti carichi di miele. Stavano per cadere senza essere colti se tu avessi tardato ancora un poco.
Lorenzo La Rovere
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