Non si finisce mai di finire, e l’unica rivoluzione sarebbe proprio la fine. L’ho pensato, infatti, alla fine (e perdonate il voluto gioco di parole) dello spettacolo teatrale “Again/By Now. Anatomia di una felice insurrezione” in scena al Teatro Porta Portese il 6 e il 7 Febbraio 2018, prodotto da ReSpirale Teatro, regia di Veronica Capozzoli.

Again / By Now” è l’assurda storia senza fine di una divertente coppia pop-borghese incastrata in un ciclico finale. In una scatola scenica asettica, i due soli attori Michele Pagliai e Giulia Oliavari diventano Boxer e Berta: intrappolati nell’ultimo atto dello spettacolo. Ancora. Ancora una volta.

Prende vita dallo studio de “La fattoria degli animali” di George Orwell, un’opera tanto attuale che porta ad interrogarsi sul concetto di rivoluzione e su una sua eventuale (im)possibilità.

Michele Pagliai e Giulia Oliavari
(PHOTO: Valerio Sablone)

Tragicomico, teatro dell’assurdo: inizia dalla fine, ma non finisce con un inizio. E’ un cerchio che collassa su sé stesso, nell’infallibile vanità del nulla, nell’intima verità del vuoto.

Un quadro semplice, eppure per nulla semplicistico, con due protagonisti (Boxer e Berta) che sono proprio uguali a te: con le tue stesse movenze da uomo orgoglioso e annoiato, con il giornale aperto per non leggerlo mai, con la mira del water poco affidabile, poca voglia di ascoltare. Oppure le tue stesse movenze da casalinga disperata, con i capelli raccolti e la mania dell’ordine, l’esigenza dell’emancipazione.

In un quadro semplice, eppure per nulla semplicistico, questi due anti-eroi sono talmente privi d’immaginazione da essere solo in grado di terminare. Talmente attaccati al loro sistema da abortire ogni finale. E ricominciare di nuovo dalla fine.

Una trama che quasi trama non ha, ma trae l’alienazione di una relazione, che è frutto dell’alienazione di un sistema, che è l’alienazione del potere.

Photo:Valerio Sablone

Pensare di poter rivoluzionare il giro, di fermare la giostra, di scendere e guardare. Pensare di poter rivoluzionare lo sguardo, salire, far partire la giostra.

E’ uno sguardo, “Again/ By Now”, sulla nostra incapacità di guardare. Forse per questo Michele Pagliai e Giuia Oliavari, in Boxer e Berta, non si guardano mai. E, forse, anche per questo Boxer ha gli occhiali da sole. Uno sguardo sul controllo della casualità, sulla quotidiana frustrazione del quotidiano.

Tra il grottesco e il retrò, la coppia esalta l’estetica della vanità, nei pozzi del consumismo e della massificazione, catalizzando nel dettaglio di una relazione le dinamiche di un’intera società. Due figure beckettiane in un tempo teatrale implacabile e violento, che non gli concede tregua: ogni errore e ogni parola inevitabilmente si ripete e torna a imprigionarli.

In un gioco di lucida ironia Boxer e Berta ripercorrono le personificazioni dell’essere nello sciogliersi di situazioni normali. E proprio in quella normalità è possibile leggere le inclinazioni di un’intera generazione alla disillusione. La stessa che inciampa nella nostalgia del tradizionale cantautorato italiano e che lega le scene nel salto tra il passato e la paura.

Un ritornello, quello dell’incapacità d’epilogo, che si inclina ad ogni scena come un passaggio al metateatro. Una storia nella storia, una menzogna nella bugia. La loro incomprensione è il riflesso del rifiuto di sé, il rifiuto di sé è il riflesso dell’assenza dell’individualità. Siamo tutti soldatini con gli occhiali da sole. Gli stessi occhiali da sole dietro i quali Boxer vede il mondo.

Dopo il continuo distacco fisico ed emotivo tra i due, si scioglierà la densa indifferenza per l’unico e solo momento di contatto tra Boxer e Berta. Si ritroveranno vicini, più di quello che credete, più di quello che potevano credere. Nell’unico e solo momento in cui Boxer non avrà gli occhiali da sole.

E allora ecco l’unica rivoluzione. La differenza tra vedere e guardare, come quella tra correre e scappare. La paura è un gioco di verità che facciamo da bendati. La fine è una verità che abbiamo guardato senza occhiali da sole.  

Ma la verità, forse anche quella: è finita?

Rossella Papa