I ricercatori dell’Alfred-Wegener-Institutes, Helmholtz-Zentrum für Polar- und Meeresforschung (AWI) hanno riscontrato la presenza massiccia di microparticelle di plastica nei ghiacciai artici. Una scoperta annunciata che pone sotto la lente d’ingrandimento il tema dell’inquinamento degli oceani. I ghiacci dell’artico sono un campione ottimale, infatti è proprio li che le correnti superficiali oceaniche trasportano le migliaia di tonnellate di rifiuti “scaricati” in mare, in prevalenza plastica.
Grazie all’analisi i ricercatori tedeschi sono riusciti a risalire all’origine di queste microparticelle. Una parte consistente viene dall’enorme quantità di spazzatura “ordinaria” proveniente dall’Oceano Pacifico. Un altro dato interessante deriva dalla presenza di vernice e nylon, questi materiali sono riconducibili all’intensificazione delle attività ittiche nelle acque dell’Oceano Artico. Dato il progressivo scioglimento dei ghiacci, la superficie oceanica interessata alla pesca sta aumentando di anno in anno. Si è innescato un effetto a catena per cui il riscaldamento globale, sciogliendo i ghiacci, consente all’uomo di intensificare lo sfruttamento degli oceani già fortemente provati. Ed è proprio l’effetto a catena causato dall’immissione della plastica nella catena alimentare marina a preoccupare i ricercatori. Ilka Peeken, la responsabile della ricerca, dichiara:
«Durante il nostro lavoro, ci siamo resi conto che più della metà delle particelle microplastiche intrappolate nel ghiaccio erano larghe meno di un ventesimo di millimetro, il che significa che potevano essere facilmente ingerite da microrganismi artici come i ciliati, ma anche dai copepodi. Nessuno può dire con certezza quanto siano dannose queste piccole particelle di plastica per la vita marina, o in definitiva anche per gli esseri umani».
Di sicuro la stessa plastica che “noi” gettiamo in mare ci si ripresenta sotto altre forme, solitamente nel piatto. Alcuni degli alimenti che consumiamo abitualmente, come cozze e sardine, sono considerate come le “cartine tornasole” dello stato delle acque in cui vivono. Le cozze assorbono proprio i microorganismi mentre le sardine sono gli animali “spazzini”dell’oceano per eccellenza. Uno studio dello scorso anno realizzato dal Norwegian Institute for Water Research (NIVA) ha evidenziato come i molluschi (e quindi anche cozze e vongole) provenienti dalle acque comprese tra Russia e Cina, fossero fortemente contaminati dalla plastica.
Per l’esattezza dalle stesse microparticelle che oggi i ricercatori tedeschi hanno trovato nei ghiacci dell’Artico.
Cosa possiamo fare?
Le vie per diminuire la quantità di plastica che va ad inquinare le “nostre” acque sono molteplici. La più intuitiva e semplice da mettere in pratica nella quotidianità e quella della diminuzione degli involucri. Secondo i dati di Legambiente, circa il 60% della plastica in mare deriva dal “packaging”, alimentare e non. Per sconfiggere questo “cancro” occorrerebbe un azione congiunta di più organizzazioni che rendesse sconveniente ai grandi distributori l’utilizzo di questi involucri. Ovviamente non potrà mai essere realmente conveniente ma, con il coraggio di intaccare in maniera marginale i guadagni di alcuni gruppi si potrebbe quantomeno limitare l’immissione di questi rifiuti nel circuito dello smaltimento. L’Oceano è un organismo perfetto che come tale rigetta tutto ciò che non gli appartiene e che lo danneggia. Oltre a colpire l’ecosistema, i nostri rifiuti stanno diventando sempre di più parte integrante della nostra dieta.