Aborto in Pandemia: i diritti delle donne e le possibili soluzioni

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Di Maria Paola Pizzonia

Siamo giunti alla conclusione della mini-rubrica “Aborto in Pandemia” ed è qui che proponiamo delle soluzioni possibili e presentiamo esempi virtuosi.

Durante questa seconda ondata le autorità italiane non hanno adottato misure per facilitare l’accesso all’aborto farmacologico. Nonostante si tratti di un metodo giudicato più sicuro ed efficace di quello chirurgico anche dall’Organizzazione mondiale per la sanità (fonte: qui).

L’aborto farmacologico in Italia è legale soltanto fino alla settima settimana di gravidanza. Tuttavia in quel momento alcune donne potrebbero ancora non sapere di essere incinte. Inoltre le linee guida nazionali richiedono sia somministrato nel corso di un ricovero di tre giorni. Invece mentre secondo l’Oms è una procedura che potrebbe essere tranquillamente autogestita dalle donne a casa propria fino alla dodicesima settimana di gravidanza.

A proposito di casa: ecco altre proposte contro la crisi sanitaria che sta colpendo di nuovo le donne.

Aborto in Pandemia: una possibile soluzione è la telemedicina

Le soluzioni, sulla carta, ci sono. Un aiuto potrebbe arrivare dalla telemedicina, già utilizzata con successo in altri paesi europei, come Inghilterra, Francia e Irlanda. A tal proposito ci pensa a precisare la dottoressa Toschi, che spiega:

«Tante cose si possono fare telematicamente, l’aborto con pillola no. Dal colloquio alla firma del consenso, si manda la donna in farmacia a ritirare la pillola e poi la si segue 24 ore su 24, invece che farle fare cinque visite all’ospedale che spesso si trova a due o tre ore di strada»

Ma la telemedicina, o il passaggio nei consultori, sono visti da alcuni anche come un modo per privare i medici del loro ruolo. Di fronte a presidi ospedalieri inaccessibili a causa del Covid e consultori chiusi, spesso le donne si rivolgono al privato, dove una risposta arriva in breve tempo.

«E’ un bel ricavo per gli ospedali, del resto si sa, la sanità è un mercato. Ma non bisognerebbe accentrare troppo i servizi, specie in un momento di pandemia. La dottoressa solleva un problema non indifferente: «Hanno scritto che si può fare nei consultori, ma non è assolutamente così, manca il nomenclatore tariffario, senza quello l’Asl non sa quando spende per la prestazione».

commenta Marina Toschi.

Sui consultori:

E infatti i consultori su questo punto sono fermi. Così spiega Alessandra Zampetti del Coordinamento delle Assemblee delle Donne dei Consultori, che si occupa del territorio laziale:

«Tra poco l’Asl Roma2 inizierà la somministrazione in consultorio, è la prima, speriamo presto di poterne garantire almeno uno per le asl .Resta però il problema dell’obiezione, secondo i nostri dati qui è al 50% , per questo chiediamo che vengano banditi concorsi esclusivi per non obiettori oppure che il turn over preveda la loro assunzione».

Aborto in Pandemia: esistono anche le esperienze virtuose

Il punto è che manca una prassi nazionale, a cui possano far riferimento i centri e soprattutto le donne che si trovano in queste situazioni. Ce ne parla Eleonora di Obiezione respinta:

«C’è tanto stress dovuto all’incertezza, molte non sanno come muoversi e hanno paura di non riuscire a trovare un ospedale per tempo. Perchè abortire alla quinta o alla dodicesima settimana è completamente diverso».


Ci sono alcuni ospedali che somministrano la RU486 fino alla nona settimana, ma sono iniziative private.

«Siamo già arrivati ultimi rispetto al resto del mondo, abbiamo un foglio ministeriale che ce lo permette, perché aspettare ancora? Invece di mandare le donne che devono interrompere una gravidanza negli hub per i positivi al Covid, le manteniamo qui, o nel reparto covid, oppure in una stanza di isolamento predisposta»»

si chiede Anna Maria Marconi, direttrice del Dipartimento Materno Infantile dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano. Il centro da marzo non si è mai fermato e ha garantito per tutte le ivg, la regione ha da subito dato l’ok all’uso prolungato della RU486.

Altre dichiarazioni:

«Da noi si fa un tampone molecolare qualche giorno prima dell’intervento per il chirurgico, mentre per il farmacologico si fa una valutazione sui sintomi, perché è considerata attività ambulatoriale»

dice Grace Rabacchi, direttora sanitaria dell’ospedale Sant’anna di Torino, un’eccellenza nazionale, dove da sempre non si ricovera per la RU486 (che oggi viene data fino alla nona settimana).

«Se il tampone è positivo e l’ivg non è urgente, rinviamo di 14 giorni, altrimenti se siamo vicini alla scadenza siamo attrezzati con una sala operatoria e un “percorso pulito”. Le urgenze le garantiamo con un percorso protetto e distinto. Non mandiamo via nessuno: la legge 194 è un diritto, una legge dello stato».

Articolo di: Maria Paola Pizzonia (Rae Mary)

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