
Abbiamo ascoltato il nuovo album di Adele con delle aspettative miste. Sapevamo che ci saremmo trovati di fronte a un progetto strappacuore, e “Easy on me” ce lo aveva anticipato, ma abbiamo anche sperato in qualcosa di più. In fondo, negli anni si cambia e da “25” sono passati ben sei anni. In effetti, ad ascolto compiuto, abbiamo tratto le nostre somme: “30” è un disco diverso dagli altri. Non solo trattiene una malinconia nuova, quasi febbrile, ma ci trasporta anche in un suono che non abbiamo sentito spesso nei suoi dischi. Adele in quest’album confessa ancora il dolore senza freni ma, allo stesso tempo, vuole anche dirci: sono sempre la stessa, ma sono anche diventata un’altra.
“Strangers by nature”: Adele apre il sipario
L’album comincia con “Strangers by nature“. Si apre subito davanti a noi un sipario fatto di archi e piano elettrico. L’atmosfera quasi anni ’30 ci accompagna nell’inizio della storia, ma Adele non perde tempo: “porterò dei fiori al cimitero del mio cuore” è la frase d’apertura. Tutto rimane però sospeso in un suono incantato che ci promette un viaggio struggente, ma mai troppo cupo. E sarà proprio così.
“Easy on me“, seconda traccia uscita come “biglietto da visita”, ci riporta subito all’Adele che conosciamo già. Ma non poteva essere altrimenti: l’album, a conti fatti, parte da qui. “Strangers by nature” racchiude il senso del mutamento di Adele, ma “Easy on me” è il punto di partenza. La traccia, scritta appunto dopo la fine del matrimonio con Simon Konecki, lascia ancora la cantante nella comfort zone di un dolore troppo fresco. “So che c’è speranza in queste acque/ Ma non riesco a nuotare“.
Da “My little love” Adele sperimenta un suono nuovo
“My little love” è la terza traccia dedicata al figlio Angelo. Qui Adele comincia a sperimentare: la ritmica è minimale e la voce campionata di suo figlio stringe lo stomaco. Sembra una canzone chiusa tra loro due soltanto, forse anche troppo intima, che fa restare male per quanto è sincera. “Sto resistendo/ la mamma ha molto da imparare“.
Da qui, proseguiamo poi con “Cry your heart out“, a nostro giudizio un vero e proprio gioiello ritmico e sperimentale. Trainante e avvolgente, con voci elettriche e in certi punti tendente al reggae, sembra una cantilena che vuole normalizzare ed esorcizzare il dolore. Un mantra da ripetere: “quando sei in dubbio/ vai al tuo ritmo/ piangi a squarciagola“. Anche “Oh my God” è interessante a livello sonoro e ritmico. Qui Adele esprime il desiderio di potersi dimenticare della propria celebrità per provare ad uscire con altre persone. E ti fa muovere la testa quando la ascolti, per intenderci.
Le tracce centrali dell’album
La seguente “Can I get it” parte con una chitarra calda e un suono vicino all’Adele di “Rolling in the deep“. “Gettami nell’acqua/ non mi interessa quanto profonda o superficiale“. La settima traccia, “I drink wine“, ha subito incuriosito tutti i fan. Ma Adele non parla direttamente di alcun problema con l’alcool: piuttosto, cerca di perdonarsi per tutte le volte che ha finto di essere diversa. I drink wine come a dire sì, sono fatta così. I cori danno un’atmosfera calda dalle contaminazioni black.
“All night parking” ci riporta all’atmosfera magica di “Strangers by nature“. Vagamente vicina a Amy Winehouse, anche e soprattutto nel modo di cantare, Adele mostra tutta la sua delicatezza. Questa traccia è una parentesi di benessere che fa dimenticare la tristezza. “Forse è il modo in cui mi ricordi (da dove vengo)/ O come mi hai fatto sentire bella“. Ma il filo della malinconia si ridiscioglie poi con “Woman like me“. Forse la più cupa del disco, e forse anche la più cruda. “Ora un altro uomo riceverà l’amore che ho per te“. “Hold on“, uscita come singolo dopo “Easy on me“, è lenta. Piano e voce e poco altro, ci va molto delicata. “Lascia che il dolore sia gentile“.
La chiusura del disco
“To be loved” ci prepara alla fine. Densa di rimpianto, senso di smarrimento e fallimento, affronta la sconfitta. Ancora lenta e piena d’espressione, mette la voce di Adele in primo piano. Scivolati via dall’undicesima traccia, approdiamo poi al finale con “Love is a game“. Quasi sette minuti complessivi, ci ricorda ancora una volta Amy Winehouse e non solo per il titolo. Gli archi e il piano elettrico ci preparano alla chiusura del sipario, com’era accaduto all’inizio dell’album. Love is a game, né perdente né vincente. Solo un gioco a cui Adele, alla fine, non vuole smettere di partecipare. “L’amore è un gioco per gli sciocchi” ma anche “sai che lo farò di nuovo“.
L’impressione finale e complessiva è che Adele ci sembra abbia scelto di dedicare le parti sonore più sperimentali alle canzoni di rivalsa, o comunque alle tracce non direttamente collegate alla fine della sua ultima relazione. Che sia stato fatto volutamente, o si tratti solo di un’impressione, bisogna dire che le tracce migliori dell’album sono quelle in cui l’ex marito non è direttamente presente. Le più ricche e complesse sono quelle in cui Adele è solo Adele. Ma forse è solo casuale. Rimane però l’idea di una nuova Adele in quest’album. L’immagine è quella di una donna che si ricompone e si cerca di inventare da capo, senza volersi tradire più.
Immagine di copertina © Simon Emmett
Marta Barone
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