Adolf Hitler: nasceva oggi uno degli uomini più inquietanti del panorama storico degli ultimi decenni. Numerosi gli esperti che si approcciarono alla sua personalità: pare che il Führer fosse stato condizionato pesantemente nella sua infanzia, facendo ricadere gran parte della sua psicologia a dei pesanti condizionamenti legati alla sfera familiare. Un’analisi verso la sua vita misteriosa e quegli aspetti esistenziali e caratteriali poco noti.

Adolf Hitler: una personalità oscura che ha origine dall’infanzia

Grazie al metodo terapeutico psicoanalitico si riuscirono ad individuare i primi aspetti della personalità hitleriana. La pratica psicoanalitica consiste, in breve, nella ricerca da parte dell’analista di quei ricordi che al paziente risultano talmente dolorosi da essere stati rimossi; all’esterno si vedono i sintomi chiamati ‘‘nevrosi”. La costruzione della personalità di un individuo è un processo continuo di evoluzione che inizia dall’infanzia. L’infanzia di Adolf Hitler, però, non fu amorevole ma costellata da eventi tragici e violenti.

Brevi cenni biografici

Adolf Hitler nasce il 20 aprile 1889. Alois Hitler, padre di Adolf, fu una figura emblematica per colui che, in seguito, sarebbe diventato il Führer. Pare che Alois fosse figlio illegittimo di un ebreo abbiente. Ebbe due mogli e, successivamente, contrasse matrimonio con quella che sarebbe stata la madre di Adolf, Klara. A sua volta la ragazza era stata adottata quando Alois era ancora sposato con Anna, sua prima consorte. Con Klara ebbe sei figli ma sopravvissero solo Paula ed Adolf. L’infanzia del Führer fu caratterizzata da un forte attaccamento nei confronti della madre e dall’idea di abbandono che si annidò in lui dopo la nascita del fratello e delle sorelle. Il Führer nutriva una profonda devozione per la sua genitrice; quando la madre morì fu una scossa emotiva fortissima per il giovane:

«Mi parve che il mondo intero mi fosse crollato addosso; mi ritrovavo senza la mia stella polare, a dover prendere le decisioni in prima persona…»

Diversamente fu per il padre per il quale provava un senso innato di repulsione. A Vienna cercò di essere ammesso all’Accademia di Arte senza riuscirci. Durante la Prima Guerra Mondiale si arruolò: per la prima volta Hitler si sentì parte di una comunità. La carriera nell’esercito gli conferì quell’idea di ”appartenenza” che non aveva mai posseduto. L’uniforme ed una madre ideale, adesso: la sua nazione, la Germania. Successivamente un ufficiale lo notò discorrere di politica con altri soldati. Apprezzando le sue qualità oratorie gli conferirono il titolo di ”istruttore di politica”. Questo fu il principio della crescita esponenziale di quello che sarebbe diventato il Führer, simbolo di pagine nere della storia mondiale. Morì suicida il 30 aprile 1945 insieme alla sua amante Eva Braun, sposata il giorno prima.

Adolf Hitler: interpretazioni psicologiche, modelli mancati e timore della morte

L’elaborazione dell’altro in fase adulta è collegata al mondo infantile. Per Hitler la sua casa non era un nucleo sicuro a causa di continue violenze. Tutto il mondo sarà per lui un posto insicuro dal quale difendersi; per questo sentimento instillato nella prima infanzia ed alimentato anche dopo, non si identificò mai nel modello maschile di cui aveva timore. Visse alla continua ricerca di quel modello mancante (il padre), identificandosi con la figura materna.

Adolf Hitler e la madre Klara - Photo Credits: web
Adolf Hitler e la madre Klara – Photo Credits: web

Un altro degli elementi fondamentali della psicologia hitleriana è il timore della morte. I vari lutti che lo colpirono, soprattutto la morte del fratello Edmund, portarono il bambino a considerarsi ”speciale”, poiché la morte non aveva strappato anche lui. Nei nevrotici, il sentimento di essere ”non comuni” è ridondante e persiste in età adulta. Hitler cercò riscatto inseguendo un’immortalità che pensava di avere: dapprima ponendosi come obiettivo quello di divenire il salvatore della patria germanica, ma vedendo che ciò non era possibile, si pose in antitesi come ”Grande Distruttore”.

L’odio contro la comunità semita: meccanismi e motivazioni

Hitler riconosceva la Germania come ”Madre” ideale e simbolica: attraverso il meccanismo di difesa proiettivo si arriverà all’esplicazione di numerosi quesiti. In questi meccanismi, punto cruciale è trovare un nemico su cui proiettare violenza; Hitler conferì agli ebrei questo ruolo, considerandoli aggressori e nemici della Germania. Perché proprio la comunità semita? Nel periodo trascorso a Vienna maturò l’idea che gli ebrei fossero la parte della società austriaca più corrotta; da loro aveva ricevuto elemosina in quegli anni scapigliati in cui non lavorava. Originava in lui l’insano pensiero che gli ebrei aiutassero quella che era stata la sua parte debole a rimanere tale. Questo processo mentale crebbe in virtù del fatto che, il Führer, associasse l’odio che provava verso il suo passato alla comunità ebraica: come gli ebrei aiutavano la sua parte debole a non evolversi, essi aiutavano anche la Germania a rimanere debole e passiva. L’unica soluzione era l’abolizione degli stessi.

Spasmodica ricerca dell’immortalità e qualità caratteriali inconsuete

Suo pensiero predominante era essere ricordato, perseguire un’immortalità anche nelle realizzazioni urbane. Tuttavia, si hanno informazioni che stridono con quell’Hitler che appare nell’immaginario comune: non mangiava carne, non beveva, non fumava, non aveva vita sessuale ma, in compenso, era dotato di un’enorme autodisciplina. Ognuna di queste azioni rifletteva le umane debolezze.

Adolf Hitler e l'amore per gli animali - Photo Credits: ilconigliocurioso.wordpress.com
Adolf Hitler e l’amore per gli animali – Photo Credits: ilconigliocurioso.wordpress.com

Suo unico pensiero, la Germania. Era mosso da un profondo amore per la gente umile: è facile imbattersi in fotografie del tempo in cui è raffigurato con cuccioli. Pare infatti che il dittatore nutrisse un profondo amore per gli animali. Paziente, mite e coraggioso: queste le testimonianze pervenute sui suoi atti eroici durante la Prima Guerra Mondiale.

Adolf Hitler: estro e grande memoria

Uomo dall’incredibile resistenza dotato di grande memoria e di profondo senso di rispetto verso gli altri; pare non iniziasse a mangiare se tutti in sala non fossero stati serviti. Tuttavia, anche scostante, disordinato, sempre in ritardo con timori assurdi quale la paura di dormire da solo, l’incapacità di prendere decisioni, e la presa in considerazione solo di lavori che gli piacevano. Era solito risolvere i problemi all’ultimo momento: Hitler non era un introspettivo. Lasciava la risoluzione delle problematiche all’istinto, all’ispirazione che la sua voce interiore gli comunicava.

Interpretazioni psicoanalitiche sulla psicologia hitleriana

Negli anni furono numerosi gli studiosi che si approcciarono alla vischiosa personalità del Führer, fra questi:

  • Alice Miller, psicologa e psicoanalista svizzera: esamina i maltrattamenti fisici e psicologici subiti da Adolf Hitler per mano del padre, Alois. Dietro ad un odio che reca una violenza così dilagante si cela un bambino umiliato. Chi subisce queste esperienze non svilupperà mai una normale capacità compassionevole: da qui i pochi scrupoli nel far del male a qualcuno;
  • Sigmund Freud, neurologo e psicoanalista austriaco: secondo il padre della psicoanalisi si tratta di mancato superamento del Complesso di Edipo perfettamente sviluppato nell’Hitler bambino. La naturale attrazione verso la figura materna e l’ostilità verso la figura paterna non giunsero ad un’automatica risoluzione che avviene in ogni classico complesso;
  •  Erich Fromm, psicologo, sociologo, psicoanalista tedesco: nuovo concetto per la spiegazione del fenomeno, la necrofilia. Una preponderanza che porta l’individuo alla trasformazione di tutto ciò che è vivo in non-vivo: il provare piacere praticando l’azione distruttiva. Questo modo di operare nasce in seguito ad una crescita ostacolata;
  • Walter Charles Langer, psicoanalista statunitense: famoso per aver elaborato nel 1943 uno studio sulla personalità di Hitler commissionato dai servizi segreti americani. Langer definì il Führer uno psicopatico nevrotico, alla luce, specialmente, dell’analisi del “Mein Kampf”; probabilmente impotente con tendenze omosessuali e suicide che, in seguito, risultarono vere. Non potendo essere ricordato come salvatore della Germania, avrebbe proseguito la sua ricerca verso l’immortalità ergendosi a Gran Distruttore.