Alice in Borderland, la serie tv sbarcata sulla piattaforma Netflix il 10 dicembre, che riprende per filo e per segno, anche fin troppo realisticamente, il manga survival game omonimo di Haro Aso, è la live-action definitiva. Sono esagerata? Come sempre! Arrivo in ritardo nello scriverlo? Ovviamente! Ma avevo bisogno di parlarvene e, soprattutto, raccogliere intorno a me persone che stanno morendo (verbo in questo caso azzeccatissimo. NdA) dall’ansia nel vedere la seconda stagione.
O recuperare il manga in qualche modo!
Sinossi
Ryohei Arisu è un ragazzo di 24 anni che non sa cosa fare della sua vita, o meglio, ha una passione, i videogiochi, è un genio in questo campo, ma per il resto si sente e lo fanno sentire un fallimento. In pratica è un tipico “neet”. Al suo fianco però ha due migliori amici, che nonostante l’aria da “sfigati”, sono la sua ancora di salvezza: il pseudo-ribelle dai capelli biondi Daikichi Karube e il timido, buono e “bisogna fare sempre la cosa giusta” Chota Segawa. In una tipica giornata in cui Arisu viene denigrato, Chota costretto a lavorare per una madre sottomessa a una setta e Karube fa guai sopra guai, dopo una breve fuga di libertà, i tre si ritrovano catapultati in una Tokyo completamente deserta. Ogni persona è scomparsa, svanita, vaporizzata, eppure tre minuti prima erano proprio tutti lì. Dopo lo sconvolgimento iniziale, i ragazzi finiscono per seguire delle indicazioni che li portano a un game. Si ritrovano così all’interno di un palazzo, l’unico con la corrente in tutta la città, o così sembrerebbe. All’interno trovano dei cellulari e una voce registrata che spiega delle regole. All’improvviso arrivano altre due persone, dopo una giornata in cui non avevano visto nessuno e credevano di essere gli unici rimasti sul pianeta. Una delle due donne appena entrate spiega loro che sono stati catapultati dentro un survival game, non possono tirarsi indietro, pena la morte, ma anche giocando rischiano comunque di incontrarla. Insomma, come va va, la posta in gioco è sempre la vita, ma bisogna andare avanti per forza.
Così inizia la follia dei games, che li porterà a vincere, perdere, incontrare persone, luoghi, verità inaspettate…soprattutto su loro stessi.
Un Survival Game copiato o innovativo?
Alice in Borderland è una sorpresa, per molti un qualcosa di già visto, letto e persino giocato, ma nonostante tutto, ha lasciato la sensazione che c’è di più, molto di più.
Il manga uscì per la prima volta in Giappone nel 2010, per poi essere ristampato nel 2015. In Italia invece fu editato da Flashbook Edizioni quasi dieci anni fa, oggi introvabile, ecco perché la mia disperazione. Anche se, il non sapere nulla e il non poter fare paragoni, aiuta a godersi il prodotto decisamente meglio. Probabilmente i 18 volumi verranno ristampati, visto il successo della serie, che a quasi un mese di distanza dalla sua uscita è ancora in Top 10 su Netflix, in più è stata già confermata ufficialmente la seconda stagione (che spero esca a dicembre 2021 senza fare scherzi…NdA).
L’opera di Aso racchiude dentro di sé il meglio (o il peggio) dei survival game, e Shinsuke Sato, regista già noto per Gantz, Death Note e Bleach (solo per citarne alcuni e sottolineare la sua figaggine. NdA), prende tutto il materiale che esiste sul tema e lo fonde, livellando così la serie tv. Infatti quei “molti” citati due paragrafi su, hanno paragonato la serie a Battle Royale, Hunger Games, persino a Saw per la crudeltà e le situazioni grottesche, quindi a prodotti che hanno già mostrato la pazzia dietro i giochi di sopravvivenza, eppure hanno trovato Alice in Borderland in qualche modo innovativo, speciale, perché?
Ve lo spiega la BatMary, nel suo essere poco obbiettiva quando ama qualcosa…
Alice in Borderland, siete pronti a perdere tutto o a vincere niente?
Partiamo dai colpi di scena. Per quanto i giochi e le situazioni estreme a volte cadano nel banale, e i meccanismi sono facilmente intuitivi per chi guarda, arriva all’improvviso un’azione che lascia lo spettatore confuso, disorientato, incredulo. E ciò capita quasi in tutte le 8 puntate, quindi a un certo punto si arriva a guardare ogni episodio (specialmente gli ultimi) con un sentimento di ansia mista a “per favore, per favore, per favore, non fate capitare nulla…non ce la posso fare! Non ce la posso proprio fare!“ (che sempre ansia è, ma peggio. NdA).
In più c’è una crescita, non solo del protagonista e di tutti i personaggi che gli gravitano intorno, ma della storia in sé. Anzi questa evoluzione è netta, c’è una differenza assurda tra i primi episodi e gli ultimi. Tutto cambia, non solo Arisu che diventa sempre più una figura fondamentale, ma cambiano i game e come vengono affrontati, fino ad arrivare a un cliffhanger finale che preannuncia un level up del gioco…e non in meglio.
I personaggi funzionano, anche se sono stereotipati all’inverosimile: Arisu è l’inetto che diventa leader; Usagi è la ragazza dolce ma “cazzuta”; Chishiya è il piccolino con il caschetto mezzo biondo che sa il fatto suo; Kuina è la ragazza pronta ad aiutare tutti con un passato che non accetta (lei è uno dei personaggio fondamentali per svariati motivi, in particolare è una delle poche co-protagoniste transgender che esistono su carta o in tv); il Cappellaio Matto è il primo “boss” folle da sconfiggere; Aguni è lo Yakuza, ma di buon cuore. E così via, perché sono tantissimi e ognuno è ben caratterizzato. Certo, poi ci sono personaggi che su carta funzionano e hanno un fascino macabro, ma che nella realtà cadano nel ridicolo, come Last Boss, tutto tatuato, pazzo e che gira con una katana (ho riso in ogni sua scena, anche quelle più cruenti! NdA).
Insomma personaggi tipici di un manga, ma con un background che li rende unici. Anzi, qualcuno si è lamentato che sono tutti troppo “bravi”, quasi dei geni nelle loro caratteristiche fondamentali. Bèh, si tratta sempre di un Survival Game, sopravvive chi ha qualità in più, chi sfrutta al meglio il suo fattore x…il resto muore. E’ normale che alla fine rimangano i “migliori”, è così in tutti i giochi. Anzi è una scelta coerente con la realtà.
Alice in Borderland è un prodotto che conquista, nonostante le critiche su alcuni dettagli. E’ la serie tv che forse non serviva, ma che comunque non si può ignorare. Per chi ama la cultura nipponica, per chi ama i survival game violenti, per chi vuole andare a dormire con l’ansia, per chi ama le serie tv in generale, Arisu e company sono i compagni perfetti e di cui avete bisogno.
Per il resto: il Game ha inizio, buona fortuna giocatori!
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Maria Francesca Focarelli Barone (BatMary)