Massimiliano Allegri deve tanto al Cagliari. Non perché sia stata la prima piazza ad offrirgli il palcoscenico della Serie A, quanto perché ne mise in risalto la dote migliore: gestire situazioni al limite del compromesso e condurre la squadra tranquillamente in porto cercando, alla fine, di superarne i confini. La stagione 2008/2009 è emblematica del suo percorso da allenatore, in grado di sbaragliare qualsiasi logica, tanto da resistere all’appetito spietato di Massimo Cellino.
Massimiliano Allegri: un vincente cui i risultati non bastano per avere ragione
Massimiliano Allegri ha sempre dichiarato che a guidare le sue scelte in campo sia principalmente l’istinto. Una componente aleatoria capace di suggerirci la soluzione opportuna al momento opportuno. Quasi a volersi sottrarre dei meriti, il mister livornese demanda spesso ai dettagli l’esito di una partita: le giocate di un singolo, un cambio indovinato, una palla persa, una traiettoria beffarda all’ultimo secondo, fanno tutti parte di una concezione olistica del calcio in cui a vincere non è (solo) la conoscenza di schemi e tattiche, ma anche una certa sensibilità innata.
Chi sottovaluta questo suo sentire da “uomo di campo”, come lui stesso si è definito, lo accusa di non avere idee proprie ed originali. Come se tutti i suoi successi fossero frutto del lavoro altrui, dei suoi giocatori e predecessori. La storia insegna, invece, che Allegri ha saputo costruirsi le proprie vittorie cambiando spesso in corso d’opera e volgendo a proprio favore qualsiasi situazione gli si presentasse di fronte. Sei scudetti e quattro Coppe Italia rappresentano la bontà oggettiva del suo operato, nonostante a calcio non si vinca con i numeri, come spesso dichiara. È stata proprio la sua capacità di ottimizzare al meglio le risorse disponibili a persuadere Cellino che fosse lui il cavallo su cui puntare…
Il rapporto con Cellino
Allegri è il nostro Mourinho, per certi versi anche meglio di lui […] Massimiliano ha delle componenti di pragmaticità ed intelligenza che lo rendono un grande allenatore, ambizioso e voglioso di vincere, nonostante abbia i piedi ben piantati per terra”.
Parlava da profeta Massimo Cellino durante quest’intervista rilasciata nel 2010. Allegri, come lo “Special One”, avrebbe infatti disputato due finali di Champions, adottando decisioni per certi versi “impopolari”. Vidal schierato da trequartista a supporto delle punte, Mandzukic reinventato esterno alto a sinistra sono le provocazioni di un uomo che sempre rifiutato i dogmi. A quei tempi, la sua scommessa era già vinta. Il Cagliari si era guadagnato il titolo di squadra “rivelazione” del campionato precedente e aveva sfiorato la qualificazione in Coppa Uefa dacchè era squadra abituata a salvezze neanche tanto tranquille.
Merito del mister (futura panchina d’oro), ma soprattutto dell’intuito visionario del presidentissimo. Aveva intravisto in Allegri le doti del predestinato, e avrebbe perseguito la propria idea con determinazione. Andò a pescarlo in C1, dove aveva vinto il campionato col giovane Sassuolo di Squinzi, e lo riconfermò nonostante cinque sconfitte consecutive all’inizio.
E’ stata una sorta di attrazione magnetica a legare i destini di questi due uomini di mare. Sin dai tempi in cui Cellino si convinse ad acquistarlo dal Pescara nel 1993. Allegri stava conducendo un’onesta carriera da centrocampista tra Serie B e Serie A. Non aveva certo i numeri del fuoriclasse, anche a causa della sua scarsa attitudine all’impegno, ma dimostrava già di possedere una discreta intelligenza tattica, tanto da far dire a Galeone, il suo “mentore” calcistico, che si trattasse di un vero e proprio allenatore in campo.
Non si è mai impegnato fino in fondo quando indossava gli scarpini, è lui stesso ad ammetterlo, ma ha saputo interiorizzare ogni esperienza vissuta per trasmetterla ai propri giocatori. La sua capacità di mediare tra l’essere tecnico e calciatore gli ha permesso di mantenere saldo il controllo del gruppo senza sovraccaricarlo di pressioni. Celino era certo che quel ragazzo avrebbe toccato le corde giuste per risollevare la squadra, perciò decise di lasciargli tempo per lavorare.
Volgere il vento a proprio favore
L’esperienza di Allegri sulla panchina del Cagliari è un concentrato di ciò che il toscano si troverà a vivere nelle stagioni future. Un inizio tormentato, l’ombra dell’esonero che comincia a profilarsi, fin quando un evento fortuito non cambia i destini di un’intera stagione. Basterà una semplice folata di vento, come dichiarerà lo stesso Allegri, a mandare alto un colpo di testa di Ambrosini ed evitare così la sesta sconfitta in altrettante partite. Una deviazione impercettibile eppure sufficiente affinché la barca cagliaritana non si inabissasse definitivamente.
Ero virtualmente esonerato, e lo sarei stato, se quel colpo di testa non fosse uscito di cinque centimetri. Questo dimostra che il cacio, spesso, è fatto di episodi”
Gli episodi che hanno spesso determinato il suo destino da allenatore. Come quando, sette anni dopo, una zampata decisiva di Cuadrado sarebbe valsa la vittoria all’ultimo secondo nel derby della Mole. Anche in quel caso Allegri si stava giocando una panchina, la più prestigiosa di tutte, quella della Juventus che aveva racimolato appena 12 punti in 10 gare, peggiore partenza nell’era dei tre punti per i bianconeri. Anche in quel caso, una vittoria bastò come spunto per una rimonta lunga 28 giornate che culminò con la vittoria dello scudetto. Nel bene o nel male Allegri lascia la propria impronta tangibile riscrivendo involontariamente i record delle squadre che allena. E’ uno dei tanti cortocircuiti di un uomo che si è sempre dichiarato indifferente alle statistiche e ha pensato solo a centrare gli obiettivi.
Una rimonta “alla Allegri”
Lo 0-0 contro il Milan non è un semplice palliativo, ma una vera e propria iniezione di convinzione che libera la squadra dal germe della paura. La fortuna bacia gli audaci, e Allegri, ancora poco propenso al metamorfismo tattico che lo accompagnerà negli anni a venire, disegna i suoi con un 4-3-1-2 ultraoffensivo. Sotto la sua guida emerge lentamente un bomber come Alessandro Matri, mentre Robert Acquafresca vive un’irripetibile stagione di grazia nella quale mette a segno 14 reti diventando il punto di riferimento della squadra. Il reparto offensivo si arricchisce ulteriormente della fantasia di Cossu e Jeda, mentre il centrocampo è guidato dalle geometrie della “bandiera” Daniele Conti, futuro capitano. La retroguardia capitanata da Diego Lopez e che annoverava un giovane Astori, aveva in Marchetti l’ultimo baluardo a protezione della porta.
Allegri instilla nei suoi la voglia di divertirsi e trasmette la giusta leggerezza per pensare partita dopo partita. L’apice della condizione lo si raggiunge all’inizio del girone di ritorno quando i sardi infilano un “pokerissimo” alla Lazio, battuta all’Olimpico per 5-1, e poi gettano il cuore oltre l’ostacolo: battono in casa la Juventus, un’impresa che non era riuscita neanche nell’anno dello scudetto e non si ripeteva da 40 anni. Chi ci avrebbe mai sperato ad inizio stagione, quando la squadra latitava malinconica all’ultimo posto in classifica?
Da quel momento Massimiliano Allegri riscrisse la storia del suo personaggio: il ragazzo imberbe e irresponsabile, croce e delizia di tanti allenatori, con un matrimonio mandato a monte a pochi passi dall’altare, portava ora le stigmate del condottiero capace di cadere e rialzarsi, facendosi carico del destino dei suoi uomini.
“Guardalo l’allenatore, che ha dato tanto e ha avuto molto meno“, intona Gianni Morandi in un suo celebre brano. Allegri incarna alla perfezione quest’immagine: esposto in prima linea alle critiche, ha sempre dovuto dimostrare qualcosa.
Da questo punto di vista l’esperienza a Cagliari rappresenta un “unicum” che sia giocatori sia tifosi ricordano esclusivamente in chiave positiva. Del resto l’obiettivo era stato centrato con largo anticipo rispetto alla tabella di marcia, togliendosi anche la soddisfazione di battere squadre ben più blasonate.
La mancata qualificazione in Europa
La logica, a questo punto, imporrebbe un lieto fine, e invece non sarà così. Il Cagliari lanciato verso l’Europa, in grado far segnare il record di punti (53) della sua storia a fine stagione, mancherà l’appuntamento con la qualificazione in Europa. Fatali risulteranno alcuni scivoloni nella parte finale del campionato, che impediranno ai sardi di compiere il guizzo decisivo verso lidi più prestigiosi.
Eppure il mister aveva vinto con pieno merito la prima sfida della sua carriera, presentandosi nel salotto buono del calcio nostrano in tutta la sua essenza di distruttore e riparatore che non conosce mezze misure. Persona dotata di rara signorilità, ma tenace e ostinata, Allegri ha sempre dimostrato di non nutrire rancore verso i propri detrattori. Si è solo difeso, senza timori riverenziali, dagli attacchi di chi, come Sacchi, ne criticava la qualità di gioco:
Credo che alla base di tutto ci debba essere il rispetto […] A me hanno insegnato ad ascoltare tutti, poi decido io da chi prendere e da chi non prendere”.
Forse perché, rispettoso del suo interlocutore, riteneva quelle accuse fin troppo generiche…