“Grazie a tutti, ma adesso devo tornare a lezione”, è così che si conclude l’intervento in conferenza stampa di Greta Thunberg. “Vi auguro un buon proseguimento e spero che vi piaccia il film”. Quante di noi, a diciassette anni, avrebbero volentieri saltato la scuola per presentarsi al Festival del Cinema di Venezia e sfilare sul red carpet con un abito da principessa? Lei no, sciopera solo il venerdì e solo per il nostro futuro. In diretta dalla sua scuola, Greta ha partecipato alla conferenza stampa di I Am Greta, film fuori concorso presentato al pubblico per la prima volta durante la 77esima edizione del Festival di Venezia. Un documentario che la segue ma dove lei non vuole essere tanto protagonista quanto simbolo e medium di quel messaggio che questa ragazza ed il regista, Nathan Grossman, vorrebbero trasmettere al pubblico.
Ormai tutti ne abbiamo sentito parlare: cambiamento climatico, surriscaldamento globale, inquinamento. Cotton fioc ritrovati sulle spiagge, cannucce dentro le narici delle tartarughe, incendi che devastano il mondo, pesci intrappolati in buste di plastica. Inorridiamo davanti a queste immagini, a questi filmati, scuotendo la testa con una smorfia di preoccupazione superficiale. Superficiale perché quando poi si tratta di dover buttare l’immondizia in cassonetti diversi sbuffiamo e finiamo per raccogliere tutto nella stessa busta dell’indifferenziata sperando non arrivi alcuna multa da pagare. “Se posso agire da ponte affinché le persone possano comprendere di più la crisi climatica credo sia positivo. Credo che con questo film si stia cercando di raccontare la storia di un individuo per dire che una persona sola non può cambiare le cose”.
La scomoda verità di Greta
Questa è Una scomoda verità, come ci ha raccontato Al Gore nel suo documentario del 2006 e poi di nuovo nel secondo capitolo del 2017. Il regista Nathan Grossman ha affermato che è stato questo film ad aprirgli gli occhi sulla tematica ambientale. Da quel momento ha deciso di voler fare qualcosa sfruttando la sua voce, o meglio la sua telecamera. “I documentari hanno questa capacità di comprimere grandi tematiche e farle conoscere e comprendere al grande pubblico”, dice, “Con I Am Greta volevo provare a fornire agli spettatori un’altra prospettiva rispetto a quello che mostrano di solito i media”. È agosto 2018 quando Greta, quindicenne, comincia uno sciopero per il clima che ben presto si trasforma nel movimento globale Fridays for Future. Da allora viene attaccata costantemente, così come si vede nel documentario. Chi non è con lei si schiera contro quello che dice sfruttando qualsiasi cosa come una scusa per dimostrare la propria teoria.
Greta viene criticata per la sua sindrome di Asperger, per la sua giovane età, ma per quale motivo questo dovrebbe togliere valore alle sue parole? La nostra società ritiene una persona di quattordici anni abbastanza responsabile da guidare un ciclomotore, e di fatto influire sulla vita o la morte propria e di chi si trova intorno. A diciotto anni si diventa maturi, stando a quanto dicono. Una quindicenne con forti ideali ed idee politiche però deve essere per forza manipolata, perché nella società odierna è impensabile essere così giovani ed avere realmente una maturità di pensiero come quella di Greta. “Nel film si vede chiaramente che io rappresento le mie idee e che decido per me stessa”, risponde alla domanda sulla preoccupazione di molte persone che lei sia manipolata da qualche adulto.
I venerdì per il nostro futuro
Il suo movimento, o meglio quello di cui lei si fa portavoce, si basa su una provocazione. Se agli adulti non interessa il futuro delle nuove generazioni sulla Terra, perché ai giovani dovrebbe interessare il proprio futuro a scuola? Una delle scene più commoventi del film la segue nel suo viaggio in barca a vela da Plymouth, in Inghilterra, a New York, in vista del suo discorso al summit dell’ONU. Perché la barca a vela e non l’aereo? Perché lei sa che un leader deve dare per primo il buon esempio di quello che predica. “È una responsabilità troppo grande per una ragazzina”, dice nel documentario. A questo alcune persone potrebbero rispondere che, infatti, non è lei che dovrebbe occuparsene e che dovrebbe tornare a fare ciò che tutte le quindicenni fanno. Lo farebbe, se ci fosse qualche adulto che avesse veramente a cuore la sorte delle generazioni postere, tanto da agire e non fermarsi alle parole.
Non siamo noi che dovremmo fare tutto questo, dovrebbero essere gli adulti, le persone al potere. Non dovrebbe spettare a noi ragazzini comunicare questa crisi. E questa responsabilità invece oggi è riposta su di noi e sugli scienziati, ma è un peso eccessivo da portare.
Poi continua “Non c’è ancora abbastanza consapevolezza. Non trattiamo la crisi climatica come una vera crisi. Invece lo dovremmo fare, lo dobbiamo fare. Dobbiamo cercare di trovare una soluzione”. In un mondo costretto in ginocchio dal Covid sembra impossibile pensare a qualsiasi altra crisi se non quella che ci ha forzati in casa per mesi. Abbiamo perso la nostra libertà, almeno così abbiamo percepito, e davanti a ciò abbiamo dimenticato qualsiasi altra cosa. Mentre invece, nonostante il Covid, l’essere umano continua a sputare controvento e il pianeta continua a sanguinare. Il futuro dei giovani e dei nostri figli avrà in eredità cenere e pulviscolo di una civiltà ridotta a divisioni. Bianco o nero, normale o da eliminare. “Sembra che l’umanità abbia molte difficoltà a guardare più crisi contemporaneamente. Credo sia triste, non abbiamo di fatto così tanto tempo per affrontarle e risolverle”, dice Nathan Grossman.
“Come together, right now”
“Volevo fare la scienziata e passare la mia vita in laboratorio”, confessa alla domanda riguardo la sua passione per la scienza, “Poi ho realizzato che adesso è il momento di agire, abbiamo bisogno della scienza ma abbiamo più bisogno di agire per creare un cambiamento. E forse in questo campo ora posso essere più utile”. Nessuna voglia di diventare icona o influencer, nessuna aspirazione di celebrità. Greta Thunberg è una ragazza come molte. Timida e studiosa, in passato presa di mira a causa della sua sindrome di Asperger, che lei sottolinea “Non direi che ne soffro, diciamo che ce l’ho”. I suoi genitori sono i suoi più forti sostenitori, la madre resta in disparte emozionandosi mentre il padre è sempre presente. Una volta anche loro erano disinformati, superficiali, racconta Greta. Questo è l’esempio che non solo i giovani possono, e devono, imparare dagli adulti, ma che la conoscenza non ha età. Che anche una quindicenne può avere tante cose da insegnare ad un cinquantenne.
“Il cambiamento climatico è uno degli argomenti che più ho a cuore, e purtroppo se non agiremo al più presto vedremo ancora di più le conseguenze, anche sulle persone”. I Am Greta riesce a portare alla luce i fatti tramite le emozioni, trova un giusto equilibrio nel raccontare la Thunberg persona pubblica e la Greta privata, quotidiana, tramite quei gesti che tutti noi compiamo, come la scelta di cosa indossare per un discorso importante o la frustrazione di essere insultati per ciò che si pensa e si è. “Nessuno fa niente, perciò io devo fare quello che posso”, ripete Greta. Una persona da sola non può cambiare il mondo, ma tante persone singole unite possono farlo. Indipendentemente dall’età. E questo vale per qualsiasi crisi, sociale o ambientale che sia.
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Articolo a cura di Eleonora Chionni.