
Si può staccare una parte dal tutto, ma l’eredità e le radici di quel tutto, se hanno fondamenta profonde, rimarranno sempre lì, nel loro luogo originario. Al calcio è successo spesso e continua a succedere: quando un’industria ha successo, tutti vogliono averne una parte magari la più succosa. Solo che il risultato alla fine è sempre poco convincente, perché resta una copia sbiadita di quella che l’opera originaria era. E si sa, a nessuno in fondo piacciono le copie, perché possono essere fatte pure in modo straordinario ma non avranno mai il fascino dell’originale. Così, laddove hanno fallito gli Stati Uniti, laddove ha fallito la Cina ora ci sta provando l’Arabia Saudita. Il mondo del pallone prova ancora a cambiare la sua geografia ma la sua marca eurocentrica appare ben lungi dall’essere scardinata.
Il calcio e la geopolitica dei campioni

Forse più che di geografia si dovrebbe parlare di geopolitica del pallone. Applicare i concetti di Mackinder, affidandosi così alla scuola americana, può infatti aiutare a comprendere il concetto. Lo studioso sosteneva infatti la teoria dell’heartland, ovvero del “cuore della terra” se lo si vuole tradurre in modo piuttosto letterale. Avrebbe ipoteticamente conquistato il mondo colui che sarebbe stato in grado di dominare la terra ferma, ma non una qualsiasi: l’Eurasia. Facile immaginare perché nel momento in cui sia emersa la potenza sovietica, tutti gli americani si siano alquanto spaventati, ma questa è un’altra storia. Cosa c’entra con il calcio?
L’heartland era di fatto il “cuore pulsante della terra” e se si sottopone questo concetto all’ambito calcistico, il primo luogo che viene in mente è l’Europa. I campionati di più alto livello si trovano proprio qui e non è un caso che nella maggior parte dei casi i migliori giocatori del mondo abbiano disputato dei campionati europei. Cosa può fare dunque una potenza che aspira ad ottenere i benefici di un’industria così prolifica come quella del calcio? Cercare di sottrarre in un certo senso coloro che danno valore a questa heartland, provando ad attirare l’attenzione mediatica su di sé.
In principio furono gli USA, poi la Cina e ora l’Arabia
I primi a proporsi da lontano con cifre faraoniche furono gli Stati Uniti, che per la verità hanno sempre dato maggiore valore al calcio femminile (anche se gli squilibri economici direbbero tutt’altro). A livello sociale però la situazione è lampante. Il movimento calcistico femminile statunitense è quello più all’avanguardia in confronto agli altri. Serviva però traslare questo successo al campo maschile e quindi sono partite le offerte faraoniche per attrarre grandi giocatori. Il Cagliari scudettato andò a fare una tourneé negli USA. Pelè, Chinaglia giocarono nei Cosmos. Più di recente Beckham e Ibrahimovic hanno avuto esperienze ai LA Galaxy, mentre Messi è approdato al Miami. Eppure, nonostante la trafila di campioni è rimasto un dato incontrastabile: lo hanno fatto tutti a fine carriera o quasi, riconoscendo la minore competitività del torneo.
Il secondo tentativo lo ha fatto la Cina che negli anni ’10 del 2000 ha messo in campo cifre faraoniche per assicurarsi grandi giocatori. L’emblema di questi trasferimenti è diventato suo malgrado Oscar, stellina del Chelsea andato nel pieno dei suoi anni a Shangai. Tuttavia, in Europa delle sue avventure si è saputo ben poco e di fatto è uscito abbastanza velocemente anche dal giro della Nazionale. Ora l’ultimo tentativo è dato dall’impulso dell’Arabia Saudita. Probabilmente dal punto di vista economico ora può assurgere ad una delle più grandi potenze mondiali e sta provando ad assicurarsi campioni per rendere attrattivo il suo campionato. Lo ha fatto con Ronaldo, non è un mistero, ma l’errore sembra lo stesso compiuto dagli USA qualche anno fa: si tratta sì di stella, ma sulla via del tramonto, seppure Ronaldo probabilmente farebbe ancora la sua differenza in Europa. La speranza che i tornei potessero brillare di luce riflessa sta flebilmente tramontando. Più che rendere attrattivo il campionato, continua ad essere attrattivo solo il singolo giocatore e se questa mossa può pagare nell’immediato, è difficile che continui a farlo nel futuro.
Quindi, avranno anche il controllo di piccole emanazioni del centro del mondo calcistico, ma non controllano l’heartland e, per riadattare la teoria al contesto: “Chi controlla l’Europa del calcio comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo”. Per il momento questo pericolo è scongiurato, nei prossimi anni chissà.
Maria Laura Scifo
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