Insieme alla creazione dei vaccini, la scoperta degli antibiotici è stata il maggiore progresso medico mai realizzato dall’umanità.

Quasi improvvisamente malattie pericolosissime e dal decorso spesso fatale potevano essere trattate con grande tranquillità e numerose complicazioni, spesso invalidanti potevano essere evitate. L’unica vera limitazione degli antibiotici era, ed è tuttora,  l’essere completamente inefficaci contro le malattie da virus). Gli antibiotici, intesi come classi di farmaci, non sono stati “inventati” dall’uomo, ma han fatto sempre parte dell’arsenale nella guerra microscopica combattuta tra piante, funghi e batteri.

Il primo antibiotico, la penicillina, fu infatti scoperta in un lievito, un fungo unicellulare. I batteri ovviamente non sono rimasti inerti a farsi massacrare dagli antibiotici e col tempo hanno inventato e acquisito resistenza alle classi di antibiotici con cui avevano maggiormente a che fare.

Negli anni l’uso, ma soprattutto l’abuso, di antibiotici, usati quando non era strettamente necessario o senza completare correttamente i cicli d’uso raccomandati, ha favorito la selezione di batteri resistenti alle varie classi di antibiotici. Il motivo per cui questo è un dramma è presto detto: evolvere una nuova difesa da zero, “creando” un nuovo gene, è un processo molto lungo.

I batteri però utilizzano spesso un sistema diverso. Scambiano materiale genetico in modo “orizzontale”: una cellula batterica sensibile ad un antibiotico può acquisire il gene della resistenza da un’altra cellula già resistente. Chiaramente questo metodo velocizza enormemente il processo di diffusione, ancor di più considerando che questo trasferimento avviene senza grossi problemi anche tra specie diverse.

Escherichia coli osservato al microscopio elettronico a scansione. Fonte: NIH-NIAID

I dati attuali sono sconvolgenti. Se nel 2002 meno dell’1% di E.coli in Europa aveva resistenza contemporanea a cefalosporine, fluorochinoloni e aminoglicosidi ( tre classi di antibiotici ), nel 2016 in molti paesi abbiamo abbondantemente superato il 10% (12% in Italia). Nel corso dei decenni numerose classi di antibiotico sono state scoperte, l’ultima scoperta, tuttavia, risale a circa 30 anni fa. Questo è il vero problema odierno.

Via via che i batteri acquisiscono resistenza (siamo già al 66.7% in Italia per gli E. coli resistenti alle penicilline, ad esempio) non riusciamo a trovare nuove armi con cui combatterli. Un caso emblematico è quello della colistina, un antibiotico usato raramente, solo in caso di vera necessità, perché tossico per i reni. Nel 2015 un gene di resistenza, MCR-1, fu identificato in un batterio in Cina [1], nel 2016 la resistenza arrivò negli USA [2]. Nel 2018, uno studio su numerose specie batteriche di tutti i continenti  [3] ha dimostrato che, in tutti i casi, la resistenza era di diretta derivazione dal primo batterio identificato nel 2015.

Come fronteggiare quest’emergenza? Semplice: smettendo di abusare degli antibiotici. In questo modo si genererà una riduzione della pressione selettiva sui batteri e, con buona probabilità, i ceppi resistenti non avranno più vantaggio di sopravvivenza rispetto ai ceppi non resistenti (anzi spesso la resistenza agli antibiotici, essendo un costo, riduce la fitness dei batteri che la posseggono [Kirkup e Riley, 2004]) e si ridurranno di numero.

L’utilizzo eccessivo o errato degli antibiotici sta rendendo la battaglia contro questi microrganismi estremamente complessa

L’abuso di antibiotici si verifica su larga scala, soprattutto a livello di medicina “ambulatoriale”. L’uso di questi farmaci in corso di influenza, ad esempio, è comunissimo, ma totalmente privo di razionale (sempre se si parla di pazienti a basso rischio). Un altro caso molto comune, riguarda l’uso degli antibiotici come automedicazione: molti pazienti tendono a prenderli quando si sentono male, senza consultare il medico. Infine, il comportamento che forse causa il maggior numero di resistenze è l’assunzione irregolare della terapia antibiotica: sono in molti ad interrompere la cura quando si sentono meglio. Ma sentirsi meglio non è necessariamente indice di guarigione. E se alcuni batteri sono rimasti ancora vivi, é possibile che, sospendendo l’antibiotico, questi riprendano a proliferare e migliorino la loro resistenza al farmaco.

Bibliografia

  1. Liu et al., Lancet Infectious disease 2015
  2. McGann et al., Antimicrobial Agents and Chemotherapy 2018
  3. Wang et al., Nature Communication 2018

Matteo De Chiara – Matteo Bonas – Gaetano Pezzicoli