
La formula ormai collaudata dei Marvel Studios della singola storia che poi va a confluire nel grande fiume del Marvel Cinematic Universe non cessa di esistere con questo Ant-Man and the Wasp: Quantumania. Anzi, in questa trentunesima pellicola dell’MCU ed inizio della fase cinque degli studios, torniamo finalmente ad una composizione in cui si riesce ad assaporare il quadro generale di quello che sarà il presente e il futuro del Universo Espanso marvelliano.
Ant-Man and the Wasp: Quantumania è una film semplice, con una storia piccola (è questo il caso di dirlo) ma che fa di questo la sua forza e il suo non essere pretenzioso, andando a toccare, quasi non volendo, dei temi forti e apprezzabili. Anche se ovviamente scalfendone la parete, a favore di una spettacolarità che da estro alla fantasia più sfrenata dello sceneggiatore Jeff Loveness, già scrittore di alcuni degli episodi più memorabili di Rick e Morty. E si sente terribilmente.
Ant-Man and the Wasp: Quantumania, la fantasia del mondo quantico

Scott Lang, l’Ant-Man che abbiamo imparato a conoscere, conduce una vita tranquilla dopo gli eventi di Avengers: Endgame e sta piano piano recuperando il rapporto con la figlia Cassie, da cui si era allontanato per colpa del “blip”. Proprio lei, nei cinque anni di assenza dei genitori, costruisce un sistema per poter inviare segnali verso il regno quantico. L’apparecchio si inceppa e in un vortice risucchia i nostri protagonisti dentro il misterioso e pericoloso mondo infinitesimale. (tra cui Hank Pym interpretato dal sempreverde Micheal Douglas, Hope interpretata da Evangeline Lilly e Janet interpretata da Michelle Pfeiffer).
Il film non perde tempo e dopo un breve primo atto dove ci presenta i nuovi rapporti in gioco e la nuova vita di Scott, ci catapulta nel mondo quantico e nella sua totale anarchia. La sequenza è spettacolare, i giochi di luce e gli oggetti che diventano via via più piccoli sono fantastici da vedere e colpiscono subito. Un po’ meno le incertezze tecniche successive, che rendono l’arrivo dei nostri protagonisti leggermente posticcio e artefatto. Niente a cui però non ci si abitui e che si lasci perdere nel marasma di esseri fantastici del mondo quantico.
Tutta la prima parte di film sembra essere un grande omaggio (speriamo voluto) al cinema di fantascienza: con creature ed ambienti (quello desertico su tutti) che richiamano spaventosamente la Tatooine di Starwars, o con la città futuristica in stile Metropolis, con dei rimandi molto cyberpunk al primo Blade Runner e al 2049. E finalmente, alla fine di questa prima parte, conosciamo il vero mattatore di questo film, il villain della pellicola e che sarà il prossimo grande cattivo del Marvel Cinematic Universe: il Kang di Jonathan Majors, che da solo tiene in piedi il film. La sua interpretazione è eccellente e riesce a risultare gigante anche senza le particelle Pym di Antman. Majors fa sperare benissimo per il futuro del franchise ed è la vera sorpresa di questa nuova fase Marvel.
Un rapporto padre e figlia
Si vede e si sente quanto Peyton Reed tenga alla propria creatura che segue fin dalla prima pellicola: le sequenze di pura azione sono riuscite ed è abile, come negli altri due film, a rendere naturale l’ingrandirsi o il rimpicciolirsi dei personaggi. In particolar modo, però, trasporta su schermo un rapporto padre/figlia molto sincero e senza fronzoli.
Perché alla fine è di quello che il film parla. Di un rapporto tra un padre assente non per sua colpa e di una figlia che deve fare i conti con due figure genitoriali giganti. E la Cassie Lang di Kathryn Newton non delude, calza perfettamente il ruolo e non risulta finta o piatta come altri giovani dell’MCU. Si divide tra la voglia di inseguire una figura paterna idolatrata da tutti e la voglia di allontanarcisi.
Quindi, Ant-Man and the Wasp: Quantumania segna finalmente l’inizio del futuro del Marvel Cinematic Universe dopo una fase quattro che ha tirato avanti brancolando un po’ nel buio. Il villain è stato introdotto, l’idea del futuro sembra vincente, e sicuramente Scott Lang fa per la terza volta centro.
Alessandro Libianchi