Appropriazione culturale, comprenderla ed evitarla

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Di Marianna Soru

Si parla tantissimo di appropriazione culturale, un concetto applicabile a qualsiasi cultura, costume o gesto. Ma cosa si intende con questa espressione, in inglese “cultural appropriation“? Letteralmente si tratta dell’utilizzo e adozione di strumenti, simboli e immagini di una cultura non propria.

L’appropriazione culturale vede infatti una cultura dominante impossessarsi in maniera impropria di un simbolo di una cultura più debole, privandolo del proprio significato originario, per avere un vantaggio economico. È un comportamento di epoca coloniale, che reintroduce i rapporti di dominio e di controllo. Ovviamente l’utilizzo di simboli e strumenti di una cultura non propria non determina sempre l’appropriazione culturale. Infatti, è lecito parlarne nel momento in cui questo utilizzo diventa sinonimo di poco rispetto nei confronti di una determinata cultura. Tanto che, il confine tra ammirazione e appropriazione, è veramente sottile. Questo fenomeno poi si manifesta, ed è ancora più evidente, nel campo della moda, quindi dei costumi. Complice tante volte la visione eurocentrica del mondo, che considera popoli distanti come mero spettacolo, riducendo un’intera cultura a un costume, o un accessorio.

La collezione di DSquared2 - PhotoCredit © ctvnews.ca
La collezione di DSquared2 – PhotoCredit © ctvnews.ca

Appropriazione culturale nel mondo della moda

La prima finestra su questo fenomeno, soprattutto per partecipazione visiva, è sicuramente la moda. Abbiamo dato per scontate tantissime cose, che ritenevamo un avvicinamento a una cultura diversa, ma che in realtà non la rispettavano. Gli esempi pratici di ciò che è stato definito cultural appropriation sono veramente tantissimi. Il primo, tra i più famosi, sono le treccine, utilizzate dalle donne africane per poter mantenere i capelli lunghi. Esiste un grande dibattito, che da una parte vede in maniera positiva questo fenomeno. Dall’altra, esistono persone attiviste che lo ritengono appropriazione, nell’accezione negativa del termine.

Un altro esempio è la campagna di DSquared del 2015. Per presentare la nuova collezione, ha utilizzato il termine “squaw” che, in lingua Algonquin, è un riferimento altamente dispregiativo nei confronti delle donne. Così come lo smodato utilizzo del termine “eschimese”, fortunatamente caduto in disuso (è infatti un termine offensivo con cui i coloni di riferivano alla popolazione Inuit), ha reso la collezione una “glamourizzazione della colonizzazione”, come affermato da Lisa Charleyboy, direttrice del magazine Urban Native Girl.

Questo è solo uno dei tantissimi esempi, che porta l’attenzione anche a termini che hanno sempre fatto parte del linguaggio comune, ma di cui non si conosceva la natura (come “eschimese”). Tuttavia, esistono anche campagne e collezioni che non si sono appropriate, ma sono state influenzate da una cultura. Come detto prima, si tratta di non sforare il confine del rispetto, tanto che, grazie all’influenza, entrambe le culture non possono che giovare del reciproco scambio culturale.

Bella Thorne e le treccine afro - PhotoCredit © thevision.com
Bella Thorne e le treccine afro – PhotoCredit © thevision.com

Appropriazione culturale nello spettacolo

Non è solo la moda a essere coinvolta in questo fenomeno. Infatti, anche nello spettacolo ci sono stati diversi casi oggetto di dibattito. Per esempio, nel video ufficiale della canzone Dark Horse di Katy Perry, si nota un’iperbole nei confronti della cultura egizia. Infatti, la cantante utilizza dei costumi e delle scenografie stereotipate, ma non solo: c’è un momento in cui il personaggio “cattivo” viene eliminato, e porta una collana con scritto Allah (Dio), che viene zoommata apposta sul nome. Questo fenomeno è stato considerato ai limiti della blasfemia, oltre che irrispettoso nei confronti della cultura egizia.

Anche Rihanna è stata accusata di appropriazione culturale: durante un fashion show per Fenty Lingerie, nell’ottobre del 2020, avrebbe utilizzato dei versi del brano Doom, di Coucou Chloe, che conteneva alcuni versi del Corano, conosciuti come Hadith. La cantante si è scusata, dicendo che non era al corrente del contenuto. Allora viene spontaneo chiedersi: quando è appropriazione, e quando è ingenuità? È perdonabile la mancata conoscenza di un popolo, o di una cultura, nel nome della buona fede?

Come evitare l’appropriazione culturale?

Il dibattito sulla questione è molto ampio e ancora in evoluzione. Chiaramente, ci sono moltissime scuole di pensiero, alcune più moderate, alcune più estremiste. Evitare l’appropriazione, e favorire dunque l’oppressione delle minoranze, ha alla base il rispetto. Il twerking, le treccine, l’utilizzo di un velo sul capo, sono gesti che ormai fanno parte del nostro quotidiano. Il primo passaggio, fondamentale, è quello di informarsi. Infatti, se un comportamento, o un accessorio, o un simbolo, non suonano familiari alla nostra cultura, sarebbe bene informarsi e capire cosa si sta comprando, o facendo.

Appurato ciò, viene spontaneo chiedersi: sto arricchendo il mio bagaglio personale, o sto semplicemente seguendo una moda che non capisco? Il bello della diversità è proprio il riuscire a imparare qualcosa di nuovo, andare oltre gli stereotipi e abbattere le barriere del pregiudizio. Tanto che si mantiene il rispetto per il diverso, che siano accessori, o simboli religiosi, può fare solo del bene alla nostra società, imparando a conoscere anche ciò di cui si ha paura.

Marianna Soru

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