Dal 1971 a oggi Arancia Meccanica è stato forse analizzato in ogni modo possibile, attraverso i decenni e le evoluzioni degli sguardi. La bellezza inesauribile del film di Kubrick, tuttavia, risiede proprio nella sua estetica irripetibile, che nasce e si nutre del gusto degli anni Sessanta e Settanta. Al di là dell’ormai classico discorso sulla violenza in Arancia Meccanica, qualsiasi articolo, riflessione o commento sul film non può prescindere dal riferimento alla sua messa in scena, che è la parte ancora oggi più spettacolare.
Un futuro premio Oscar ai costumi di “Arancia Meccanica”
Abiti bianchi, bombetta nera, bretelle e sospensorio: i Drughi sono indimenticabili già nel loro aspetto. Indumenti semplici, facilmente reperibili, ma inediti nel loro insieme diventano un’uniforme efficace e straniante. Da un lato i costumi evidenziano immediatamente la compattezza del gruppo, o meglio gang, dall’altro trasmettono subito l’alienazione che i personaggi dovrebbero suscitare nello spettatore.
Un sentimento di familiarità e di inquietudine al tempo stesso, marcato da costumi e trucco a livello inconscio, prima ancora che lo spettatore scopra di cosa i Drughi sono capaci. È incredibile pensare che Arancia Meccanica sia stato il primo lavoro, in assoluto, firmato da Milena Canonero, a soli 25 anni. La costumista italiana inizia infatti con Kubrick una carriera di grandi successi e di creazioni memorabili, costellata anche da ben quattro Oscar. Il primo, nel 1976, per un’altra pellicola del regista, Barry Lyndon (1975).
Scenografia e atmosfera fra ‘60s e ‘70s
Arancia Meccanica non sarebbe il cult di oggi senza la geniale intuizione visuale del Korova Milk Bar o la Skybreak House, set di casa Alexander. La scenografia è forse il cuore del film stesso, una Londra al contempo irreale ed estremamente di moda. Per le architetture Kubrick ricerca e guarda con occhi diversi elementi già esistenti nella città. Oltre la già citata casa dell’architetto Norman Foster, c’è il celebre sottopasso bianco del Wandsworth e molti altri luoghi ed edifici della zona sud-ovest di Londra.
È poi l’uso del grandangolo a completare il lavoro, distorcendo le forme e le prospettive di questi luoghi in modo che assumano una diversa identità. Parallelamente la cura per l’arredamento interno e gli oggetti di scena contribuisce allo stesso modo a creare l’umore del film. Gli interni sono costellati di elementi di design, a partire dall’ormai famosissima statua fallica di Herman Makkink, la Rocking Machine.
Molti riferimenti estetici provengono dalla Pop Art, molti altri dall’Optical Art, gli effetti ottici del colore con cui Kubrick si diverte a giocare. Rispetto ad acconciature e costumi, inoltre l’arredamento degli interni risente ancora in parte dell’influenza degli anni Sessanta e di un certo mondo borghese patinato. La scena in cui Alex (Malcom McDowell) torna a casa dai genitori ne è un esempio.
L’attrazione sinestetica di un mondo irreale
Nulla di ciò che è messo in scena tuttavia rispecchia pienamente la realtà. È un mondo immaginato ed esasperato in ogni sua forma e accezione. È questo senso di irrealtà e di lontananza dalla comune esperienza che in un certo senso avvicina il film al pubblico. La coscienza dello spettatore è salva, pur se attratta dall’ambiguità morale del protagonista, proprio grazie al velo di irrealtà fantascientifica che caratterizza il film.
In Arancia Meccanica, in ogni caso, tutto concorre a creare un’esperienza quasi sinestetica, una continua stimolazione dei sensi. Dalla musica ai colori e alle forme di costumi e scenografia, fino alla cura Ludovico: è un percorso filmico e personale indimenticabile da quasi cinquant’anni.
Articolo di Valeria Verbaro