La difficile arte di sapersi accettare così come si è. L’epoca moderna si è accaparrata il potere di scegliere cosa sia giusto e sbagliato in ognuno di noi. Non importa le esperienze pregresse, come si è cresciuti, quale indole o carattere si possa avere, quello che conta è essere sempre e comunque dei vincenti.

Vincenti nella vita accademica, nello sport, nella bellezza, nel lavoro, nella realizzazione della propria vita sentimentale. La domanda “come stai?” è diventata una forma colloquiale di circostanza completamente avulsa da qualsiasi reale interesse allo stato mentale e fisico di un altro individuo. Quello che davvero conta è apparire felici.

Il dottor Mark Williamson afferma : “La società moderna continua a metterci sotto pressione per spingerci sempre più a primeggiare e a dare il massimo. Tutto questo non fa altro che crearci molta ansia e stress rendendoci sempre più infelici”.

Queste aspettative di cui ci carichiamo quotidianamente rendono pessima la qualità della vita e si riversano in tutte le relazioni interpersonali. Non sapendo accettare noi stessi finiamo per non saper accettare nemmeno il prossimo.

autostima
Autostima. Fonte web: mammaonweb

La realtà viene distorta a tal punto da non vedere più gli altri per quello che sono, ma solo attraverso il filtro delle nostre aspettative, speranze e necessità. Senza saperlo essi vengono sovraccaricati del peso delle nostre proiezioni mentali per finire col deluderci quotidianamente. Proiettiamo su di loro le nostre necessità, tutto quello di cui abbiamo bisogno.

“Ogni tanto affiora una voce in me. Mi dice: “Sei inutile” “Sei orribile” “Nessuno ha bisogno di te”. Eppure dentro di me ci sono frammenti e atomi di pianeti lontani, di supernove luminose, di galassie infinite. I secoli e l’universo hanno lavorato per creare ciò che sono”.(Fabrizio Caramagna)

 Non  passa neanche per l’anticamera del cervello che anche loro, come tutti, siano suscettibili di evoluzione e di cambiamento. Non è pensabile neppure per un momento che l’apparente vita perfetta dell’altro sia in realtà piena di dubbi e turbamenti almeno quanto la nostra.  Si impone un fardello insindacabile, del quale essi  non sanno nulla e di cui ci riserviamo d’essere i giudici onnipotenti: il fardello di essere perfetti.

In pratica non accettando noi stessi, non accettiamo il prossimo, neghiamo l’autonomia di ognuno di essere come è, ed infine, neghiamo la stessa dignità di persona.

A rendere ancora più estenuante questa ricerca continua di perfezione intervengono i famigerati social network.

Di certo non aiutano il difficile percorso dell’accettazione di se stessi, un nuovo studio pubblicato negli Stati Uniti, infatti,  avverte che chi non ottiene riscontri positivi ai propri messaggi sui social network rischia di sentirsi rifiutato e di ridurre la propria autostima.

 La considerazione che si ha di se stessi e degli altri passa attraverso il filtro malato del piacere alle masse, come se poi ogni individuo dovesse per forza possedere talmente tanti migliori amici da riempire uno stadio. I valori tanto citati sulle stories hanno perso tutto il loro valore intrinseco. Si inneggia alla solidarietà e al rispetto del prossimo ma poi nella pratica ogni scusa è buona per postare commenti al vetriolo.

accettarsi
Accettarsi. Fonte web: the one minute meditation

Anzi, ci sentiamo autorizzati a divenire giudici implacabili e imparziali anche nei confronti di chi non conosciamo (a chi non è successo , almeno una volta, di ricevere messaggi da utenti sconosciuti che si sentivano in dovere di dire la propria opinione su qualsivoglia aspetto della tua vita?).

La Stanford University ha coniato la frase “sindrome dell’anatra“. Il termine si riferisce al modo in cui un’anatra sembra scivolare senza sforzo attraverso uno stagno mentre sotto la superficie le sue zampe lavorano freneticamente e invisibilmente, faticando per far rimanere l’animale a galla. Questa immagine rende benissimo l’idea di fatica quotidiana che ci troviamo a dover compiere.

Ammettiamolo, l’accettazione e la soddisfazione piena e completa della propria vita è quanto di più utopico possa esistere nella realtà. L’unica soluzione plausibile è l’accettazione che non tutto sarà sempre perfetto e soprattutto che non tutto sarà come lo avevamo pianificato e immaginato, che si tratti del nostro corpo, del nostro lavoro, delle nostre relazioni.

castori al lavoro
Castori al lavoro. Immagine web

Invece che andare a cercare di imitare la perfezione senza sforzo di un’anatra in uno stagno, potremmo cercare esempi da altri animali e coniare perché no, la “sindrome del castoro” che con costanza e caparbietà non rimane mai deluso del risultato della sua diga/vita.