È decisamente ironico, a pensarci che Assassinio a Venezia esca a pochi giorni dalla fine dell’ottantesima mostra del cinema di Venezia. Quasi a raccontare un piccolo scorcio in una piovosa notte tra una proiezione e l’altra, con solo gli ambienti anni Cinquanta a riportarci alla realtà illusoria del film. Nonostante la città lagunare rimanga un contorno, una scusa per tenere i nostri personaggi rinchiusi nello stesso ambiente grazie ai suoi canali, è probabilmente l’unico luogo in grado di restituire una tale forza gotica e a tratti horrorifica nella notte di Halloween. Kenneth Branagh dirige il terzo adattamento dei racconti di Agatha Christie su Hercules Poirot. Dopo Assassinio sull’Orient Express e Assassinio sul Nilo, ancora da protagonista e regista della pellicola, Branagh fa centro con il miglior film dei tre, al netto di una risoluzione leggermente troppo telefonata e poco stupefacente.
Assassinio a Venezia: toni horror
Hercules Poirot si è ormai ritirato dal lavoro e si gode la pensione in una Venezia del secondo dopoguerra, insieme alla sua guardia del corpo Vitale (Riccardo Scamarcio). A scuotere la sua quotidianità ci penserà Ariadne Oliver (Tina Fey), una famosa scrittrice amica del nostro Poirot che gli propone un nuovo caso. Nella tenuta di Rowena Drake (Kelly Reilly), cantante lirica di fama internazionale, si terrà una seduta spiritica per rievocare lo spirito della figlia della cantante, morta suicida anni prima proprio in quel palazzo. Poirot, riluttante, partecipa per smascherare i trucchi della medium (Michelle Yeoh). Ma quando uno degli ospiti verrà assassinato, il detective si ritroverà all’interno di un mistero da risolvere dentro una casa spettrale ed infestata. Assassinio a Venezia si discosta dai primi due abbandonando il cast di star a favore di un gruppo di attori più coeso ed amalgamato, che, inseriti nel contesto del palazzo veneziano, risultano credibili e adatti. Chi più, chi meno. E il tono del film risulta diametralmente differente rispetto ai due precedenti. Se l’aria da Thriller e da giallo rimane invariata, Assassinio a Venezia aggiunge delle tinte horror e soprannaturali che solo Venezia poteva regalare.
Una risoluzione non al passo
Kenneth Branagh si discosta dal suo rigore formale tipico di una scuola teatrale e letteraria a cui lui appartiene, in favore di una regia più dinamica. Inquadrature sghembe, veloci e che rendono perfettamente il senso di smarrimento nostro e dello stesso Poirot. Un salto in avanti rispetto a quello che aveva mostrato con le altre due pellicole. Anche il montaggio dinamico, mai a rallentatore e la fotografia prima aperta di giorno e poi chiusa e spettrale di notte, rendono perfettamente il senso d’inquietudine e claustrofobia che il film vuole proporre. Il problema principale, però, risulta la scrittura debole e, purtroppo, scontata. Se è vero che il mistero e il giallo sono appassionanti per metà pellicola, è altrettanto vero che tante azioni e la risoluzione finale, sono fin troppo telefonate. La struttura propone prima un tipo di giallo per poi virare diametralmente verso un altro caso da risolvere. Ed è un peccato, perché la sceneggiatura non riesce a stare al passo con un’ottima messa in scena e una perfetta chimica tra i personaggi. Assassinio a Venezia rimane comunque un film godibilissimo e che scorre piacevolmente. Se una soluzione scontata e una struttura fin troppo classica da giallo non vi disturbano, è la pellicola che fa per voi.
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Alessandro Libianchi