Matteo Berrettini, il talento capace di far tornare l’Italia alle ATP Finals dopo quarant’anni, in meno di una settimana è passato dagli elogi alle critiche. Questo il responso dei social, luogo virtuale ideale per dimenticare in fretta le imprese e puntare il dito. Eppure, scorgendo le passate edizioni delle Finals, chiunque può agevolmente accorgersi di come il romano non sia l’unico ad aver pagato lo scotto dell’esordio
Dagli elogi alle critiche il passo è breve. Si prenda Matteo Berrettini, tennista italiano che, dopo aver ricevuto i complimenti di tutti per aver coronato una splendida stagione con l’accesso alle ATP Finals, ha ricevuto una pioggia di critiche per aver perso con due “come tanti”, Novak Djokovic e Roger Federer.
Guardando in faccia la realtà, si trattava di sfide dall’esito quasi scontato, disputate in ogni caso con personalità dal romano il quale, se con Nole ha faticato a mettere in mostra i colpi migliori, con Roger ha dimostrato di essere cresciuto notevolmente rispetto al match di qualche mese fa a Wimbledon.
Come anticipato, però, non da tutti le sconfitte dell’italiano sono state bene digerite, colpa forse anche del duro risultato maturato contro il serbo nella prima giornata: 6-2 6-1 e tutti sotto la doccia.
Ai più scettici la storia però insegna che molte volte proprio dai fallimenti nascono le radici dei grandi successi. Le Finals possono insegnare…
Mal comune mezzo gaudio
Sfogliando le pagine di storia dell’ ATP Finals, alla ricerca di notizie confortanti per Berrettini, ecco comparirne alcune belle ed altre brutte. Partendo da quest’ultime, probabilmente non indicative tenendo conto gli interessati, va detto che Federer e Nadal all’esordio hanno raggiunto la semifinale.
Lo svizzero, nel lontano 2002, dominò il gruppo eliminatorio centrando tre vittorie e lasciando per strada un solo set, mentre lo spagnolo, cinque anni più tardi, superò la prima fase grazie a due vittorie ed una sconfitta secca per due a zero firmata Blake. Rafa e Roger, campioni dal sangue freddo capaci di gestire al massimo le emozioni.
Passando sul fronte delle note positive, invece, altri due grandi del tennis moderno alla prima apparizione alle Finals sono stati eliminati prestissimo. L’ultimo in ordine di tempo è stato Alexander Zverev. Il russo nel 2017, dopo aver vinto la prima sfida, ha perso con Federer e Sock, facendo ritorno a casa prima del previsto. Stesso destino, dieci anni prima, ha avuto Novak Djokovic. Il serbo rimediò tre sconfitte in altrettanti incontri non riuscendo a conquistare neanche un set (e, a differenza di Berrettini neanche un tie break).
Le statistiche, dunque, regalano un barlume di speranza al romano. Ma non è tutto qui: l’anno dopo l’eliminazione, Zverev e Djokovic hanno alzato al cielo il trofeo.
È tempo di bilanci
L’eliminazione di Berrettini dalle ATP Finals consente di tracciare un bilancio stagionale che va ben oltre l’esperienza londinese e colora l’annata del romano di tinte vive e spumeggianti.
Oltre alle grandi giornate regalate al tennis italiano con i due titoli ATP messi in bacheca e la semifinale degli U.S. Open, a parlare per conto di Matteo è il semplice dato del ranking: in appena dodici mesi è salito dalla posizione numero 54 alla 8 grazie ad una lenta, ma costante crescita che non vuole saperne di fermarsi.
I margini di miglioramento indubbiamente sono ancora immensi (basti pensare ad alcuni errori commessi martedì in risposta sulla seconda di servizio di Federer), ma la mentalità e la capacità di uscire da momenti complicati grazie soprattutto ad un servizio molto interessante simboleggiano le doti di un ragazzo destinato ad imporsi tra i grandi.
In un contesto del genere, forse, le critiche (ingenerose) risultano molto utili ad un Berrettini che potrebbe sfruttarle per imparare ad isolarsi dalle voci circostanti. Voci spesso eccessive, ma sintomatiche comunque di grandi aspettative e stima nei confronti del numero otto del mondo.
In appena 365 giorni il tennis italiano è tornato nell’ élite mondiale anche per merito di un bel Fognini. Non sarà certo un minuscolo passaggio a vuoto londinese (se lo vogliamo proprio chiamare così) a farlo ricadere nell’anonimato.