Compie oggi 76 anni una delle voci più amate e riconoscibili della canzone italiana: Augusto Daolio. Mitico leader, cantante e cofondatore dei Nomadi insieme a Beppe Carletti. Uno dei gruppi più di successo della nostra musica. Augusto, con i suoi compagni di viaggio, è autore di molte canzoni che, scommettiamo, conoscete tutti.
I Nomadi e la voce di Augusto Daolio
Da adolescente fonda con Beppe Carletti il primo gruppo con cui comincia a ottenere una discreta fama locale, i Monelli. In seguito, nel 1963, con Franco Midili, Leonardo Manfredini, Gualberto Gelmini e Antonio Campari, fonda il gruppo dei Nomadi.
Il complesso diventerà uno dei più importanti nella storia della musica italiana. Augusto è il cantante ed il leader carismatico del gruppo, i testi delle sue canzoni, col passare degli anni, cominciano ad assumere un carattere sempre più politico. È evidente anche il cambio strutturale della voce e dell’intensità dell’espressione col passare del tempo.
Augusto Daolio ha una voce posata e fiscale in studio, che tuttavia ribaltava completamente nei concerti. Famosa la versione dal vivo della canzone Ala bianca, originariamente un pezzo di Elton John: Sixty Years On.
Nel 1972 incide un 45 giri da solista: Una ragazza come tante, colonna sonora del film La ragazza di via Condotti. Il 1972 è anche l’anno di Io vagabondo, canzone simbolo dei Nomadi e del loro leader, che amava identificarsi in questa canzone.
Come potete giudicar
Il brano è la versione italiana della canzone The Revolution Kind di Sonny Bono. Presentata al Cantagiro 1966, ha ottenuto un buon successo. Il brano è interpretato dai Nomadi nel film musicarello Totò Ye Ye.
Noi non ci saremo
Brano originale scritto da Francesco Guccini ma depositato a nome di Mansueto Deponti, sotto lo pseudonimo di Pontiack, e Toni Verona, in quanto Guccini non era ancora iscritto alla SIAE.
Dio è morto (se Dio muore, è per tre giorni poi risorge)
Brano musicale scritto da Francesco Guccini nel 1965, il cui testo è ispirato al poema di Allen Ginsberg intitolato L’urlo mentre il titolo al mito di Friedrich Nietzsche della Morte di Dio.
Nell’aprile 1967 il brano è inciso dai Nomadi ed ebbe un ottimo successo raggiungendo, nel mese di agosto dello stesso anno, la 7ma posizione nella Hit Parade Italiana.
Con questo brano Guccini apre la stagione della canzone di protesta italiana che parla di temi relativi all’opposizione radicale all’autoritarismo, all’arrivismo, al carrierismo, al conformismo.
La canzone ebbe problemi di censura in quanto il testo venne ritenuto blasfemo dalla Rai, per il contenuto e per il titolo stesso, per cui il brano in quel periodo non fu mandato in onda. Tuttavia, nel contempo, il brano è trasmesso da Radio Vaticana. Pare che anche papa Paolo VI lo apprezzasse.
Canzone per un’amica
Questa canzone è anche nota come In morte di S.F.. Scritta Francesco Guccini, scritta nel 1967 e pubblicata nello stesso anno all’interno del suo primo album, Folk beat n. 1. È nota per essere stata da sempre la canzone di apertura di ogni suo concerto.
La genesi della canzone deriva dalla morte di una cara amica di Guccini nel 1966, Silvana Fontana. Così racconta Franco Ceccarelli componente della band Equipe 84, di cui Francesco era collaboratore:
«Eravamo al Festival Nazionale dell’Unità a Ferrara. Pochi minuti prima di salire sul palco, qualcuno ci venne a dire che Silvana, una della compagnia del bar Grande Italia era appena morta, in un incidente stradale. Ma davanti a noi c’erano circa cinquantamila persone che ci aspettavano, e non sapevano che Silvana era una nostra cara amica, e che se n’era andata»
La notizia arrivò alle orecchie del cantautore mentre stava finendo di registrare le canzoni del suo album di esordio; tornato a Pavana, scrisse quindi un brano in suo onore, In morte di S.F., con gli accordi del chitarrista Deponti, e lo inserì all’ultimo minuto nell’album. Il brano In morte di S.F., è poi depositato nuovamente alla SIAE dopo l’iscrizione di Guccini, con il testo a suo nome e la musica intestata a Deponti. Il ‘nuovo’ brano presentava delle lievi modifiche, ma soprattutto il titolo era cambiato in Canzone per un’amica. L’ANAS, infatti, fece pressioni per evitare una cattiva pubblicità in tema di sicurezza stradale, riuscendo a farle cambiare il titolo e a censurarla.
Nell’archivio delle opere musicali SIAE sono presenti, come opere distinte, sia In morte di S.F. sia Canzone per un’amica, e per entrambe l’unico autore è Francesco Guccini. Guccini, nelle incisioni dal vivo, userà sempre il nuovo titolo.
Il brano piacque così tanto anche ad Augusto Daolio, che la volle incidere l’anno successivo con i Nomadi ed è contenuta nell’album I Nomadi.
Auschwitz
Auschwitz uno dei pezzi più famosi della musica italiana. Scritto da Francesco Guccini, ma accreditato a Lunero e Maurizio Vandelli in quanto l’autore non era ancora iscritto alla SIAE. La canzone uscì come singolo nel settembre del 1966 cantato dall’Equipe 84. L’anno dopo la canzone è registrata da Francesco Guccini ed inserita nel suo album di esordio, con il titolo La canzone del bambino nel vento (Auschwitz).
Guccini aveva avuto l’ispirazione per affrontare il tema dell’olocausto a seguito della lettura del saggio di Edward Russell, II Barone di Liverpool Il flagello della svastica e dal romanzo autobiografico di Vincenzo Pappalettera Tu passerai per il camino dove aveva raccontato le sue memorie sulla sua permanenza nel campo di concentramento di Mauthausen.
Il testo è narrato da due voci: il protagonista, un bambino che nel campo di concentramento di Auschwitz «è morto con altri cento, passato per un camino e adesso è nel vento». La seconda voce è quella dell’autore che si pone alcune domande retoriche a cui vi sono le risposte del bambino.
Nel 1979 i Nomadi e Guccini pubblicano un album dal vivo cantando e suonando insieme, Album Concerto.
Un figlio dei fiori non pensa al domani
Cover italiana del pezzo Death of a Clown composto da Dave Davies, membro del gruppo rock britannico The Kinks. La canzone venne pubblicata come suo primo singolo da solista nel 1967, anche se vedeva la partecipazione di tutti gli altri membri del gruppo.
Nel 1968 venne reinterpretata dai Nomadi con testo in italiano firmato da Francesco Guccini. Come ha raccontato spesso lo stesso Guccini, in realtà il testo in italiano di questa canzone non è opera sua, ma del suo amico Franco Tedeschi, nato a Modena nel 1942, professore e traduttore; Tedeschi però non era iscritto alla Siae, per cui Guccini gli fece da prestanome, come avevano fatto De Ponti e Verona nei suoi confronti fino a poco tempo prima.
I ragazzi dell’olivo
La canzone narra di alcuni ragazzi palestinesi che, a causa della continua guerriglia con gli israeliani, non riescono a vivere una vita serena e tranquilla come vorrebbero. Nella canzone Augusto tocca il tema del disegno, paragonando la vita dei palestinesi – o ragazzi dell’olivo – a una rappresentazione grafica priva di serenità, in cui primeggia il nero della morte anziché l’azzurro dei cieli.
Io vagabondo (che non sono altro)
La canzone simbolo di Augusto Daolio e dei Nomadi. Scritta da Alberto Salerno per il testo e dal bassista Damiano Dattoli per la musica, la presentarono a Un disco per l’estate del 1972, classificandosi al tredicesimo posto.
Il 45 giri vendette circa 1 milione di copie e, ancora oggi, è una delle canzoni più note dei Nomadi e viene sempre suonata dal gruppo durante i concerti.
Successivamente venne inserita nella cassetta Stereo 8 intitolata Io vagabondo.
Un pugno di sabbia
Dodicesimo singolo dei Nomadi pubblicato nell’aprile del 1970 in Italia dalla Columbia Record. Fu il loro ultimo singolo monofonico. Composta da Roberto Soffici e Claudio Daiano, che gareggiò al programma Un disco per l’estate 1970, vincendo nella sezione gruppi e classificandosi al quarto posto nella graduatoria finale. Venne inserito nell’album Mille e una sera del 1971. Nel 1977 esce su singolo, con la voce di Augusto Daolio, e successivamente viene ripubblicata in numerose raccolte antologiche e dal vivo.
Alessandro Carugini
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