È una lunga epopea quella che Giuseppe Tornatore ambienta a Baarìa (Bagheria), la sua cittadina natale in provincia di Palermo. Riunendo nel 2009 di fronte la camera alcuni dei volti più noti del cinema siciliano, il regista sembra quasi voler richiamare all’ordine i personaggi che hanno contribuito a rappresentare la storia dell’isola sullo schermo. E ci regala così l’affresco barocco di una Sicilia interbellica che si trascina fino agli anni ’80.
Girato tra la vera Bagheria e un set ricostruito nei pressi di Tunisi, Baarìa è un inno alla “sicilitudine” di Sciascia. Ed è anche un enorme investimento. Costato 28 milioni di dollari alla Medusa Film, era stato annunciato come un capolavoro destinato a vincere premi su premi. Scelto per l’inaugurazione della 66° Mostra del cinema di Venezia, Baarìa dividerà invece pubblico e critica, divenendo un film controverso che ancora oggi lascia parlare di sé.
Ma cosa racconta Baarìa?
Giuseppe Torrenuova, detto Peppino, è un bambino sveglio che deve lasciare la scuola per guadagnare qualche soldo. Questo non frena però le sue ambizioni, e ancora giovane riesce ad ottenere con astuzia la mano della donna che ama e comincia a militare tra i comunisti. Peppino può quindi costruire la sua numerosa famiglia, destreggiandosi tra una valanga di personaggi rumorosi e divertenti, il suo impegno politico e il progresso storico che incombe.
Le vite dei personaggi si intrecciano infatti con la storia d’Italia, che penetra anche in Sicilia. E così Tornatore ci racconta il referendum del 1946 e la strage di Portella della Ginestra del 1947. E l’arrivo della televisione e le riprese del Mafioso, girato da Alberto Lattuada nella “mostruosa” Villa Palagonia. Ma viene però pesantemente accusato di non raccontarci lui stesso proprio quella mafia che da tempo la fa da regina nel cinema di ambientazione sicula.
Dov’è la criminalità organizzata?
Apparentemente, non c’è. Ci sono i drammi dei personaggi, così numerosi da essere a malapena gestibili dalla macchina da presa. E c’è il punto di vista di un bambino, che si reincarna nella famiglia di Peppino generazione dopo generazione. D’altronde, spiega Tornatore, non c’era neppure in Nuovo Cinema Paradiso. In fondo, perché l’ambientazione dovrebbe imporre la tematica di un film che è innanzitutto un’opera d’arte?
Però, in realtà, la mafia c’è. È nella quotidianità di vecchi e bambini che sanno conviverci. Ed è nelle mordaci battute che fanno sorridere amaramente lo spettatore, senza però distoglierlo da quello che sta vedendo. E cioè un film che ha l’ambizione, secondo alcuni troppa, di racchiudere l’esperienza cinematografica di un regista ma anche il mondo da cui lui e i suoi film provengono.
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Manuela Famà