Bacchettate cinesi: H&M, Nike, Burberry contro lo sfruttamento degli Uiguri Xinjiang

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Di Redazione Metropolitan

A sei anni dall’uscita del documentario “The true cost” torna in primo piano il tema dello sfruttamento nel settore moda. Unica differenza con il passato: Gli accusati sono diventati accusatori. Da un lato diversi importanti brand di lusso e fast fashion, dall’altro la Cina. Al centro della polemica è la minoranza uigura che sembrerebbe essere sfruttata e vessata nei campi di cotone dello Xinjiang.

H&M e co puntano il dito contro la Cina

H&M, Zara, Nike, Burberry, Fila, Hugo Boss e Muji sono solo alcuni degli altisonanti marchi che da alcuni giorni puntano il dito contro la Cina. Diventa tuttavia difficile capire se e quali accuse siano vere e fondate. Il risultato è che parte della popolazione cinese ha gridato al boicottaggio di questi marchi. Non solo. Nelle ultime ore diverse piattaforme cinesi di e-commerce hanno escluso il colosso svedese H&M e nel Paese almeno sei negozi sono stati chiusi. Inoltre molti personaggi pubblici hanno reagito in modo netto.

L’accusa

Diversi Paesi occidentali hanno ordinato sanzioni contro funzionari cinesi in conseguenza di presunti abusi contro i diritti umani contro la minoranza prevalentemente musulmana. Circa un milione di persone appartenenti al gruppo etnico degli Uiguri, infatti, risulterebbe essere sfruttato nei campi di cotone nella regione dello Xinjiang. Il segretario degli affari esteri britannico, Dominic Raab, sostiene che quello ai danni degli Uiguri potrebbe essere «uno delle peggiori crisi dei diritti umani della nostra epoca». Fa eco il segretario di Stato americano Antony Blinken secondo cui sono in atto «genocidi e crimini contro l’Umanità».

Fonte: businessinsider.com

Le sanzioni

Al centro dei provvedimenti, tra cui divieto di spostamenti e blocco dei beni, sono alcuni funzionari della regione dello Xinjiang. Personaggi di spicco sembrerebbero essere Chen Mingguo e Wang Junzheng. Proprio loro, secondo Antony Blinken sarebbero soggetti autori di «detenzioni arbitrarie e gravi abusi fisici, oltre che altre gravi violazioni dei diritti umani». Le sanzioni arrivano dunque dalla sinergia tra Unione Europea, Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. Verso le accuse di tortura, lavori forzati ed abusi sessuali la Cina non è rimasta, come prevedibile, inerte. Non solo ha risposto alle accuse ma ha anche contrattaccato con proprie sanzioni mirate. Il Paese asiatico ha infatti sostenuto che i campi sono strutture di rieducazione. Inoltre da sabato scorso ha annunciato provvedimenti contro due funzionari americani e un legislatore canadese che avevano denunciato il trattamento riservato alla minoranza.

Luci ed ombre su accusatori e accusati

La matassa non appare facile da sbrogliare. Le accuse da Oriente e Occidente, benché gravi, non sembrano arrivare “out of the blue”. Piuttosto sembra essere in atto un’escalation di ostruzionismo commerciale. Ultimo tassello è appunto il boicottaggio, anche via social, della Cina contro le aziende che rifiutano di usare il cotone dello Xinjiang. Per fare un esempio infatti, solo nel 2020 la Cina ha rappresentato uno dei cinque mercati più grandi per H&M con il  5,2% delle vendite totali. Appare comunque controverso che siano proprio brand di fast fashion, da sempre al centro di polemiche sullo sfruttamento del lavoro, a lanciare l’accusa. Gli stessi marchi, molti dei quali americani, oggi sono invece tra gli accusatori della Cina. Così come Hugo Boss, marchio tedesco nato nel 1923 e fornitore ufficiale delle S.S.

Levata di scudi anche da parte di VIP

Tra questi c’è, ad esempio, Dilraba Dilmurat. Attrice e musicista uiguro-tagika, la Dilmurat è stata tra i primi a contrastare una manovra occidentale, a suo dire, del tutto economica. Il cotone dello Xinjiang è il primo competitor di quello del prodotto nel sud degli USA. Dietro le accuse di genocidio ci sarebbe in realtà una battaglia commerciale contro l’ottima qualità del cotone dello Xinjiang e la modernità della sua filiera produttiva. Diverse altre celebrità hanno interrotto i rapporti con brand occidentali, come Zhou Dongyu che ha chiuso il suo contratto con Burberry.

Scenario in evoluzione

Anche riguardo ad ipotesi di negoziati con l’ONU per una visita senza restrizioni nello Xinjiang, la Cina ha ribattuto che si tratterebbe di una «forma di manipolazione». Ad oggi, nessuna trattativa è stata ancora raggiunta. Le accuse tuttavia appaiono fondate. A febbraio, infatti, la BBC aveva ottenuto testimonianze di stupri, abusi sessuali e torture come, ad esempio, sterilizzazioni forzate e nel 2020 H&M aveva già espresso preoccupazione. Non può non colpire che il Governo cinese abbia affermato che i gruppi etnici nello Xinjiang e in Tibet godano di ampie libertà. Continuano quindi ad aumentare le tensioni tra la Cina e l’Occidente.