La Ferrari di Barrichello: quando due è solo un numero

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Di Redazione Metropolitan

Barrichello Ferrari – Rubens Barrichello, il secondo pilota della Ferrari. Questo ciò che si leggeva sui giornali all’inizio del nuovo millennio; un’etichetta, pesante e difficile da portare, diventata quasi un secondo nome. Pochi i traguardi raggiunti davanti a tutti, ma desiderati, sudati e ottenuti.

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Barrichello e Schumacher – Photo Credit: F1 Official Twitter Account

Barrichello Ferrari – L’inizio

Rubinho si presenta in Formula 1 quando è molto giovane, appena 21 anni; solare, sempre sorridente, brasiliano come l’amico Ayrton Senna. La carriera di Barrichello inizia con un carico di pressione parecchio pesante; il tragico weekend del GP di San Marino del ’94 ha un impatto devastante, non solo per quanto accaduto ma soprattutto per ciò che ne è conseguito. Il popolo brasiliano era sconvolto, aveva bisogno di un riferimento, un ancora a cui aggrapparsi per non andare a fondo. Chi meglio del giovane pilota brasiliano per cui Senna aveva sempre espresso stima.

Prima etichetta: erede di Ayrton Senna. Un macigno. Troppa pressione troppo in fretta; dal punto di vista sportivo è stata una missione fallita, ma dal punto di vista umano forse no. Barrichello ha sempre dimostrato tanta passione legata alla velocità a cui viaggiava; una capacità rara la sua, quella di cadere tante volte ma rialzarsi sempre, piede sul gas, superando voci, insulti, prese in giro. Qualche anno dopo l’etichetta di Rubinho cambierà completamente diventando quel numero stampato sulla monoposto, il due.

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Rubens Barrichello – Photo Credit: Barrichello Facebook Account

Barrichello Ferrari – La scalata Rossa

Nel 2000 arriva la Ferrari, un traguardo meritato; a Maranello però c’è poco spazio e di conseguenza arriva anche l’etichetta con cui tutti lo ricorderanno: numero 2. Uno scudiero in rosso, questo quello che avrebbe dovuto essere per la casa del Cavallino Rampante, niente di più, niente di meno. In Ferrari, Rubinho è cresciuto, come pilota e come uomo, coltivando una grande tenacia e un’immensa lealtà nei confronti del marchio che portava con orgoglio al petto. Il Sancio Panza per Don Chisciotte; più moderni, con cavalli più veloci e senza l’armatura.

Un periodo difficile quello a Maranello, in confronto al tedesco Rubens era considerato come una spalla, solo punti per il campionato Costruttori. Il più grande sgarbo quello subito in Austria nel 2002; ordine di scuderia, frenata plateale, Schumacher passa all’ultima curva portando via la meritata vittoria al compagno. Ma nonostante tutto Barrichello non si è mai fermato. L’immagine più bella è quella del podio in Germania nel 2000; posto in griglia numero 18, la gara, la bandiera a scacchi e poi lacrime, lacrime e lacrime. Un umile cuore rosso che dirige l’inno dall’alto di quel meritato primo posto.

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GP Germania 2000 – Photo Credit: F1 Officia Twitter Account

Barrichello Ferrari – Il momento sbagliato

Barrichello è un campione? Una domanda che nasce spontaneamente; no perché non ha mai vinto il titolo, sarebbe la risposta ovvia, ma perché fermarsi a ciò che è scritto su un vocabolario per definire una persona. L’obbligo di vestire un ruolo e un po’ di sfortuna hanno semplicemente fatto di lui il pilota giusto per una grande Ferrari, ma al momento sbagliato. Bisogna ricordare che nel 2009 perse il mondiale contro Button a causa di una foratura. Quando l’uomo ha la meglio sul pilota non esiste una risposta giusta; che sia o no un campione, con tutti i significati che questa parola può avere, non è interessante. Almeno per Rubinho non lo è.

Probabilmente ha fatto male non avere la possibilità di potersi distinguere, ma lui ha continuato a correre. Col sorriso, con la fatica e il sudore, lottando in ogni momento, per il primo o per il quindicesimo posto. Con Barrichello al fianco Schumacher ha vinto 5 titoli, in precedenza con Irvine non era mai accaduto. Senza di lui probabilmente non sarebbe stato uguale. Forse allora un numero due come lo è stato Rubens, come lo sono e lo saranno altri, è degno del rispetto riservato al numero uno. Campione o no.

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Articolo a cura di Chiara Zambelli