Venticinque anni di carriera, sempre ad altissimo livello, terminati con l’ultima sfida (Italia-Georgia) arbitrata una settimana fa. Roberto, detto “Bobo”, Begnis appende ufficialmente il fischietto al chiodo dando l’addio alla pallacanestro professionistica. Una vita passata in giro sui parquet per il direttore di gara che è diventato, negli anni, una delle colonne della classe arbitrale italiana. Un addio bello e commovente che ha davvero emozionato tutti in campo.

L’addio di Roberto Begnis: “Una gara emozionante che porterò sempre nel cuore”

È stata una serata pazzesca di emozioni uniche che resteranno per sempre nel mio cuore. Essendo la mia ultima partita immaginavo e sapevo che qualcosa di organizzato ci fosse e l’omaggio del segretario generale della Federazione e del presidente Aiap mi hanno davvero commosso ma quello che hanno architettato Pozzecco e ragazzi è stato altamente emozionante. Un gesto totalmente inaspettato e per questo ancor più spontaneo e commovente che credo non fosse solo per me ma fosse una sorta di tributo alla categoria di arbitri ed ufficiali di campo, compagni di viaggio di giocatori ed allenatore in questo meraviglioso mondo che è la pallacanestro – le parole dell’ormai ex arbitro Roberto, detto Bobo, Begnis ai microfoni de La Provincia –. Nasco con i geni della pallacanestro da un padre allenatore e una madre cestista anche se la fenomena della famiglia è mia sorella Elena, ufficiale di campo che ha fatto Final Four di Eurolega in serie. Tento, senza particolare successo, di giocare a basket e allora, da appassionatissimo, provo a fare il Corso Regionale per allenatori e arbitri. L’obiettivo, ovviamente, era seguire le orme di papà ma per ottenere il patentino serviva obbligatoriamente arbitrare quaranta partite e in quelle partite qualcuno ha pensato fossi bravino. Così ho proseguito col fischietto al collo e anno dopo anno, ho sempre fatto una promozione sino alla serie A, arrivata nel lontano 1999“.

“Sono stato privilegiato: ho vissuto l’evoluzione”

Da amante della pallacanestro posso dire di essere stato spettatore privilegiato di una evoluzione pazzesca. Il gioco è mutato di pari passo con l’escalation fisica degli atleti che lo praticano e che considero sempre i migliori dello sport in generale. Chiaro che l’evoluzione fisica comporti una ascesa esponenziale della difficoltà per l’arbitraggio. Pensate a cosa fanno questi energumeni di oltre due metri, che pesano oltre cento chili ma che corrono i trenta metri di campo in un amen, hanno uno stacco ed una potenza pazzeschi e magari mani di fata. Sono stato molto fortunato a vivere la direzione arbitrale a tre a vedere l’ingresso degli ausili tecnologici che, ricordiamolo, non servono ad aiutare l’arbitro, servono ad aiutare il gioco, ovvero la stella polare di ogni protagonista del match“.

(Credit foto – Basket Magazine)

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