“Beale Street”, James Baldwin attraverso lo sguardo di Barry Jenkins

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Di Redazione Metropolitan

Nel 1974 James Baldwin pubblica il romanzo If Beale Street Could Talk, una tenera storia d’amore piegata ma non spezzata da una realtà feroce. Baldwin stesso, nella citazione riportata anche all’inizio del film di Barry Jenkins afferma che il suo romanzo si confronta con la possibilità e l’impossibilità, l’assoluta necessità, di dare espressione all’eredità di Beale Street. Beale Street è in fondo una metafora, una strada rumorosa. Rimane al lettore, qui spettatore, il compito di discernere il significato in mezzo al battere dei tamburi.

If Beale Street Could Talk, citazione iniziale - Ph. credit: IMDB.com
If Beale Street Could Talk, citazione iniziale – Ph. credit: IMDB.com

Beale Street, dal romanzo al film

James Baldwin è uno degli intellettuali più raffinati e più rilevanti di tutta la seconda metà del Novecento. Chiunque aspiri a comprendere le forti contraddizioni e l’identità culturale degli Stati Uniti dovrebbe leggere almeno un suo saggio o un suo romanzo. È di fatto uno dei più importanti intellettuali afroamericani di tutti i tempi, un faro e un punto di riferimento per tutti gli artisti che oggi desiderano raccontare com’è essere nero in America. Essere nero in America, diceva Baldwin, ed esserne relativamente consapevoli significa essere in collera quasi tutto il tempo, being in rage almost all the time.

I protagonisti di If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins - Ph. Credit: IMDB.com
I protagonisti di If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins – Ph. Credit: IMDB.com

Baldwin viene citato continuamente, a volte anche in maniera diretta, con le sue parole sullo schermo di serie tv e film contemporanei (es. Dear White People). Si è scoperto di recente un potere enorme di questa figura, nelle immagini e nel suono della sua voce. Nel 2016 Raoul Peck ha dedicato a Baldwin un intero, stupendo, documentario, I Am Not Your Negro. Non è mai stato facile, tuttavia, riuscire ad adattare le sue opere per il cinema e la televisione. Prima di Barry Jenkins solo altri due registi ci sono riusciti, nel 1984 (Go Tell It on the Mountain) e nel 1998 (Al posto del cuore).

Barry Jenkins ha iniziato a scrivere la sceneggiatura di Se la strada potesse parlare (If Beale Street Could Talk, 2018) nel 2013 insieme a quella di Moonlight. Per anni è rimasto il suo dream project, il progetto più agognato e più difficile, soprattutto a causa dei diritti d’autore. Gli Oscar vinti in seguito con Moonlight nel 2017 hanno funzionato da “garante”, permettendo finalmente la produzione del film.

“Vi auguro di non guardare mai le persone che amate attraverso un vetro”

Tish (Kiki Layne) in una scena di If Beale Street Colud Talk - Ph. Credit: IMDB.com
Tish (Kiki Layne) in una scena di If Beale Street Colud Talk – Ph. Credit: IMDB.com

Le prime parole pronunciate fuori campi da Tish (KiKi Layne) sono proprio queste: vi auguro di non guardare mai chi amate attraverso un vetro. Il vetro ovviamente è quello che separa i parenti dai detenuti. Quando si è neri in America, però, quel vetro è molto di più. È troppo spesso simbolo di violenza e di ingiustizia.

Tish ha diciannove anni, Fonnie (Stephan James) ventidue. Si conoscono da sempre, ma all’improvviso si scoprono innamorati uno dell’altra, promessi sin dall’inizio senza saperlo. Fonnie è un artista, uno scultore che si allontana dall’agio e dal denaro della propria famiglia per inseguire un sogno. Tish invece insegue Fonnie stesso e il profondo sentimento che la lega a lui.

Costumi anni 70 in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins - Ph. credit: IMDB.com
Costumi anni 70 in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins – Ph. credit: IMDB.com

È la metà degli anni Settanta e i due convivono in una bettola seminterrata sognando una grande casa e nuovi progetti. Dolce e commovente è qui la scena in cui i due si convincono ad affittare un loft. Fonnie finge di spostare mobili inesistenti in uno spazio ancora troppo vuoto e poco rifinito da poter chiamare casa. Eppure insieme riescono a proiettarsi nel futuro.

A interrompere i loro piani è lo scontro con un poliziotto che con un pretesto vorrebbe trascinare Fonnie in centrale. Non riuscendoci, trova un altro modo per sbarazzarsi di lui: paga una donna per denunciarlo di stupro e arrestarlo. Tutti gli sforzi di Tish e della sua famiglia saranno inutili contro un sistema marcio dall’interno. La ragazza, incinta del figlio di Fonnie, non può che arrendersi all’idea di continuare a incontrare il suo grande amore in prigione per molto tempo ancora.

L’ingiustizia sociale che irrompe nella quotidianità

Una delle fotografie mostrare in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins - Ph. credit: IMDB.com
Una delle fotografie mostrare in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins – Ph. credit: IMDB.com

Dopo aver visto Moonlight, probabilmente ci si aspetta dal successivo film di Jenkins una simile introspezione personale e intima. Questa volta però il materiale di partenza è molto diverso, è già in sé uno strumento di denuncia sociale. Accanto alla storia d’amore e alla normalizzazione del black love sullo schermo corre quindi un argomento molto più potente. È la critica al razzismo sistemico che infetta da sempre le istituzioni statunitensi.

All’inizio e alla fine di Se la strada potesse parlare, infatti Jenkins inserisce alcune fotografie in bianco e nero che raccontano il grande trauma affrontato nel film. Sono fotografie che testimoniano storicamente la violenza che il film non mostra, ma a cui allude. Rimangono impresse, all’inizio come linea guida, alla fine come morale dell’intera opera.

La grande firma di Barry Jenkins e Beale Street

Fonnie (Stephan James) in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins - Ph. credit: IMDB.com
Fonnie (Stephan James) in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins – Ph. credit: IMDB.com

Barry Jenkins è comunque uno dei registi più interessanti e più riconoscibili nel panorama attuale. Non avrebbe realizzato Beale Street se non l’avesse potuto fare a modo suo, con la sua inconfondibile firma. Innanzitutto decide di raccontare la storia con un intreccio non lineare. Parte dall’evento centrale, la scoperta della gravidanza di Tish, per poi muoversi indietro e avanti nel tempo. Mostra gradualmente l’inizio della storia d’amore che si interseca purtroppo con le vicende giudiziarie.

Onnipresenti, ovviamente, sono i suoi primi piani e i dettagli sui volti, stilema che avvicina lo spettatore alla fisicità e calore dei corpi. Jenkins nei suoi film in un certo senso insegue la Bellezza. Costruisce immagini con forte intento estetico e in questo si serve molto della fotografia del fidato James Laxton. Ogni personaggio, anche secondario o minoritario, ha diritto al suo meraviglioso primo piano. Obiettivo medio, nessun effetto grandangolo, nessuna deformazione dello spazio: solo un volto e un paio di occhi fissi sullo spettatore. Ogni volto è un brivido, una connessione empatica.

Fonnie (Stephan James) in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins - Ph. credit: IMDB.com
Fonnie (Stephan James) in If Beale Street Could Talk, Barry Jenkins – Ph. credit: IMDB.com

I film di Jenkins creano un’esperienza visiva difficile da ignorare. Unita all’impegno nella rappresentazione della realtà afroamericana costituiscono una delle migliori filmografie da recuperare e amare negli ultimi anni.

Articolo di Valeria Verbaro

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