Dall’esigenza di comunicare al mondo il suo messaggio d’amore per l’umanità, Beethoven giunse ad una rivoluzione delle forme musicali tradizionali. Il fine ultimo di Beethoven fu dunque quello di ricercare un tipo di linguaggio che sapesse trasmettere nella maniera più efficace possibile il suo messaggio, ed è essenzialmente a questo che si deve la straordinaria innovazione che seguì a questa necessità. Nonostante accolse infatti, nel periodo giovanile, lo stile settecentesco, non tenne poi conto delle caratteristiche tradizionali dello stesso nelle fasi successive della sua vita.

Ogni forma musicale subì rifacimenti e innovazioni. Delineò una nuova visione dell’espressione musicale, nella quale l’oggettività lasciò il posto ad un atteggiamento soggettivo, nato dalla volontà e dal bisogno di esprimere contenuti interiori dettati da una personalissima visione del mondo e dell’umanità, nella quale l’artista diviene il centro della propria opera. Espresse così tramite le composizioni una vera e propria autobiografia intellettuale e spirituale.

Dall’oggettivo al soggettivo

Oltre a questo mutamento dall’oggettivo al soggettivo, negli ultimi anni dello sviluppo stilistico del compositore venne raggiunto un linguaggio nuovo eccezionalmente avanzato. Un linguaggio attraverso il quale le opere si resero parti inscindibili di un complesso unico nel quale il compositore poteva esprimere ideali astratti e trascendenti. Stretta è la relazione che intercorre tra il progressismo del linguaggio musicale, che cresce a mano a mano che avanza cronologicamente la creatività beethoveniana, e la discesa del compositore in zone sempre più profonde della sua spiritualità.

Si deve ciò al fatto che più Beethoven affinò il suo linguaggio e il suo stile compositivo, più fu in grado di trasmettere efficacemente il suo pensiero e di soddisfare così la sua esigenza. Ogni genere compositivo da lui prodotto venne sottoposto a tali rivoluzionarie innovazioni strutturali e stilistiche: dalle sinfonie ai quartetti, dalle sonate ai concerti per strumento solista. Ne è difatti un esempio il concerto per violino e orchestra op.61, il quale prevede una sintonia tra solista e orchestra straordinaria; un dialogo privo di scontro dialettico e drammatico mai sentito prima.

Musica come missione

La soggettività del compositore si stacca nettamente dal passato, poiché da allora il lucido oggettivismo del periodo classico venne abbandonato in funzione di un linguaggio con il quale l’artista si faceva portatore di messaggi soggettivi. Beethoven, pervaso da un forte e straordinario ottimismo nei confronti dell’umanità, era persuaso del fatto che chiunque sarebbe stato in grado di comprendere il messaggio insito nella sua musica. 

La fiducia che riponeva nella possibilità della musica di comunicare ed esprimere contenuti precisi fu unica. Egli rivestiva il suo lavoro di compositore di un vero e proprio carattere di missione nei confronti dell’umanità. Il suo dono e il suo talento incredibili erano totalmente volti al pensiero di dover diffondere il suo pensiero salvifico. Sarà infatti questo suo sentimento di dovere nei confronti degli uomini a dargli la forza di continuare a produrre opere meravigliose nonostante l’arrivo della più crudele malattia per un musicista: la sordità.

Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo, prima di aver creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre; e così ho trascinato avanti questa misera esistenza – davvero misera, dal momento che il mio fisico tanto sensibile può, da un istante all’altro, precipitarmi dalle migliori condizioni di spirito nella più angosciosa disperazione.Testamento di Heiligenstadt

Il messaggio di Beethoven e la IX Sinfonia

La fiducia che Beethoven riponeva nell’umanità non vacillò mai. Era sempre viva in lui e nella sua musica la speranza: la speranza di un futuro in cui odio, dolore, scontro drammatico tra gli uomini si annullano in un’unione di amore fraterno. Una nuova forma di armonia e di pace. Tale messaggio si percepisce in numerose opere del compositore di Bonn. La più emblematica rimane però la IX Sinfonia, nella quale Beethoven mette in musica L’Ode di Schiller, ponendo così in rilievo la Poetica della Gioia.

Per Beethoven, mettere in musica l’Ode di Schiller era un obiettivo primario che per molti anni, fino poi alla creazione della IX sinfonia, non abbandonò mai la mente del compositore. Questo perché, oltre al fatto che Beethoven ammirava e stimava molto il poeta, gli fu subito chiaro che l’Ode alla Gioia potesse essere l’espressione artistica dell’utopistico desiderio di raggiungere una condizione di fratellanza sotto un Dio benevolo. 

Un cammino verso la luce

L’Ode celebra la gioia come una forza incredibile capace di unire individui e popoli separati da conflitti e convenzioni sociali. Propone un’immagine di fratellanza umana. Per il poeta tedesco, lo scopo dell’arte era infatti quello di indirizzare l’umanità verso un nuovo cammino sociale, verso una nuova forma di armonia e di pace, che avrebbe permesso il libero sviluppo di tutte le potenzialità umane.

L’ultimo movimento della IX sinfonia infrange le barriere del genere sinfonico per la sua peculiarità consistente nell’inserimento delle voci soliste e del coro. Il Finale della IX sinfonia è costituito da sezioni contrastanti e ben delineate: inizialmente infatti compaiono reminiscenze orchestrali dei movimenti precedenti. Questi temi vengono accennati ma poi subito rifiutati, come a indicare che la melodia che Beethoven andava cercando non era ancora giunta. Che il messaggio doveva ancora essere pronunciato. La struttura della Sinfonia si può dunque considerare, date anche le relazioni tematiche tra i tre movimenti e il Finale, come un percorso drammaturgico, un cammino che porta la luce nell’oscurità e che rivela una forte carica etica.

L’Ode di Schiller e il messaggio di speranza

Successivamente, lentamente, appare il tema della Gioia, con il quale Beethoven mette in musica l’Ode di Schiller. Prima enunciato da oboi, clarinetti e fagotti, su un pedale dei corni, si espande poi all’intera orchestra e alle voci. Questa struttura esplicita un significato simbolico ben preciso: il rifiuto dello scetticismo e della disperazione dei laceranti conflitti (caratteristiche presenti nelle opere precedenti), per volgere lo sguardo a un futuro colmo di speranza. Un futuro nel quale Beethoven vede un’umanità indirizzata verso una pacifica e armoniosa unione fraterna.

E così, con un messaggio colmo di speranza e di amore per l’intera umanità, Beethoven coronò il suo percorso in ambito sinfonico, lasciandoci una melodia pregna di significato, che diventerà nota in tutto il mondo, nonché inno Nazionale Europeo. La forza della IX sinfonia risiede nella capacità di coinvolgere, emozionare e toccare nel profondo l’animo di un pubblico che, al termine della prima rappresentazione a Vienna il 7 maggio del 1824, non poté far altro che sventolare fazzoletti bianchi per acclamare colui che non poteva più udire il suono degli applausi. 

Giulia Scialò

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