Il freddo, l’inverno striato di pioggia, infine la proverbiale romana umidità non fermano gli estimatori di Alberto Bianco dall’accorrere numerosi al Monk Live Club per ascoltare dal vivo i brani di “Quattro”, come da titolo quarto lavoro in studio per il cantautore torinese, uscito su etichetta INRI poco più di un mese fa. Aspettative e speranze tutte ben riposte, va detto subito: un concerto che si rivelerà intenso, rigenerante.
Sono appena passate le 23 quando la band al completo sale sul palco: cinque ragazzi intorno ai trent’anni, ciascuno con una t-shirt bianca (a parte Alberto, che sfoggia invece una giacca nera con il numero “4” stampato sulla schiena, che poi toglierà per restare anche lui di bianco vestito), quasi a voler sottolineare –scherzosamente – l’affinità cromatica con il cognome del nostro attore protagonista.
Pochissime chiacchiere, niente fronzoli o ‘effetti speciali’ (ad eccezione di un grande “4” glitterato impresso su drappo nero e disteso in alto, dietro la batteria): c’è tanta voglia di suonare ed è grande la complicità, la concentrazione, il dinamismo tra i membri della band, che viaggia sempre a pieni giri e che, non a caso, è la medesima con cui Alberto ha inciso il disco in studio: Damir Nefat (chitarra elettrica solista); Marco Gentile (tastiere); Matteo Giai (basso); Filippo Cornaglia (batteria). menzione d’onore a tutti, nessuno escluso.
Un’ora e quaranta di concerto e 19 brani eseguiti: come da prassi promozionale l’ultimo album sarà suonato quasi per intero, così come il precedente, “Guardare per Aria”, mentre nulla stasera resterà a testimoniare “Storia del Futuro” e appena un paio di canzoni per l’esordio, “Nostalgina”. Non mancherà una gradita sorpresa, ma ci arriveremo.
La scaletta prende l’avvio con i primi quattro brani dell’ultimo album, ripresi secondo l’ordine originale: “30 40 50”, “Felice”, “In un attimo” e “Fiat”. Un disco, quest’ultimo che, come abbiamo già avuto modo di osservare in sede di recensione, risulta più denso, ricco, elaborato/colorato rispetto a “Guardare per Aria”, marcando una sorta di cesura netta rispetto a quei passati bozzetti acustici e dolci/amari: appare infatti più slanciato, più arrangiato, ritmico, eclettico, con qualche sbalzo d’umore ma un equilibrio e un’intenzione sempre ben chiari.
Con il valore aggiunto del live che, in qualche caso – come per esempio “Punk Rock con le ali”, ultima traccia in scaletta prima dei Bis – dona nuova linfa vitale e pathos interpretativo, facendo risplendere a dovere un brano che proprio in un contesto come questo trova l’abito ideale.
Detto ciò, continuano a piacere, e molto, anche le riprese dal lavoro precedente: su tutte la splendida “Aeroplano”, ma anche “Volume”, “Filo d’erba”, “Drago, “Corri Corri”.
Con “Organo Amante”, lungo episodio conclusivo dell’album “Quattro”, arriva finalmente il momento degli ospiti: si tratta di Niccolò Fabi – che a lungo negli ultimi anni ha collaborato con Alberto e i ragazzi e che fino al momento prima di salire sul palco si trovava di fianco al vostro Reporter cantando, ballando e inneggiando alla band – Roberto Angelini e Pier Cortese, che si uniranno al gruppo per il finale strumentale del pezzo, lasciando salire gradualmente la temperatura emotiva con svisate di Lap Steel Guitar, tastiere ed effetti sonori digitali, fino a raggiungere un apice che è stato uno dei momenti musicalmente forti del concerto.
Il primo Bis è una questione privata: il solo Alberto, chitarra elettrica a tracolla, torna infatti in proscenio per eseguire un’intima versione di “Mela”, come si diceva unico altro ricordo del disco d’esordio, forse a voler rimarcare una distanza emotiva/evolutiva con il recente passato. La band ritrova il palco per “Quello che non hai”, “Tutti gli uomini” – anche questa con un impatto e una resa che dal vivo ci pare assai più convincente che non su disco – e “Le stelle di giorno”, chiusura di una tenerezza quasi commovente, liberatoria.
Il concerto si chiude con i ragazzi della band uno di fianco all’altro a centro palco, a prendersi i meritati applausi mentre “Lean On Me” di Bill Withers dagli altoparlanti avvolge la sala. E la scelta non ci pare affatto casuale: questo pezzo soul anni Settanta è infatti una toccante, sincera riflessione sul senso dell’amicizia che, a nostro avviso, convive in perfetta armonia con il vero, autentico senso del disco di Bianco, scelta perciò perfetta per il rituale dell’arrivederci.
Ariel Bertoldo