Billie Holiday, la gardenia bianca della musica jazz

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Di Redazione Metropolitan

Prima di Aretha Franklin, prima di Ella Fitzgerald e Nina Simone, la voce femminile del jazz portava il nome di Billie Holiday. Donna dallo sguardo malinconico e dalla personalità poliedrica, Billie è tutt’oggi l’icona della musica jazz e del blues. Con tanta determinazione riuscì a rendere il suo percorso musicale un vero e proprio viaggio catartico alla scoperta della sua anima.

La sua infanzia fu segnata dall’abbandono del padre: crebbe sola con sua madre a New York. Quando ancora era una bambina, date le difficoltà economiche, Billie iniziò a lavorare in un bordello clandestino ad Harlem, ascoltando i dischi di Louis Armstrong fra una pausa e l’altra. Lei ancora non lo sapeva ma, dopo qualche anno, la sua passione per il jazz le avrebbe salvato la vita.

Billie Holiday - Photo credits: web
Billie Holiday – Photo credits: web

Da Billie Holiday a Lady Day

Stanca di quella vita, Billie provò a voltare pagina. Così, iniziò a lavorare come ballerina in alcuni locali ad Harlem: dai clienti veniva chiamata Lady poiché, a differenza delle sue colleghe, si rifiutava di ricevere le mance, facendosi infilare le banconote tra le cosce come una vera signora. Nel 1933 venne notata dal produttore John Hammond, con il quale firmò un contratto e produsse i suoi primi due dischi. Negli anni successivi lavorò con grandi del jazz, tra cui Lester Young, nonché suo grande amico che inventò il suo soprannome ufficiale, Lady Day.

Nel 1939 uscì Strange Fruit, il suo brano più emblematico con il quale denunciava le discriminazioni razziali. Il frutto di cui parlava era il corpo esanime di un nero ucciso da un gruppo di bianchi e appeso a un albero. Lady Day incarnava sensualità e tragicità allo stesso tempo; aveva la capacità di tessere le sue emozioni attraverso la sua voce e, di fatto, non riusciva a cantare questo pezzo senza commuoversi.

Malcolm X, dopo aver ascoltato questo pezzo di denuncia, disse di lei:

Lady Day cantava con l’anima dei neri e nelle sue canzoni risuonavano secoli di dolore e oppressione.

Gli ultimi anni di un’artista senza tempo

Billie fu tra le prime cantanti nere a esibirsi assieme a musicisti bianchi. Nei locali in cui lavorava era costretta a usare l’ingresso riservato ai neri ma, arrivata sul palco, esisteva solo Lady Day, una forza della natura. Come tratto distintivo, indossava sempre alcune gardenie bianche fra i capelli. Secondo la simbologia, questo fiore incarna la gentilezza e, allo stesso tempo, la bellezza fugace, e la personalità di Billie Holiday non potrebbe essere descritta in modo più accurato.

La sua carriera non fu lunga ma ebbe la responsabilità di ispirare la nuova generazione della black music, partendo da Janis Joplin e Nina Simone. Dal 1947 in poi ci furono diversi episodi legati all’uso ripetuto di droghe che indebolirono l’elasticità della sua voce. Giorno dopo giorno, Billie Holiday si avvicinava alla fine del suo grande momento di rivincita, con la consapevolezza che il jazz l’aveva davvero salvata da un passato di abusi e abbandoni. Morì per insufficienza cardiaca nel 1959 ma la sua voce e la sua anima resteranno immortali per l’intera scena musicale mondiale.

Cristina Del Vecchio

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