È stato il film di chiusura del 41° Bellaria Film Festival, il film di esordio di Emilia Mazzacurati, classe ’95. Si intitola “Billy” come il nome del protagonista, un diciannovenne alle prese con una famiglia disfunzionale e attacchi di panico, interpretato teneramente da Matteo Oscar Giuggioli. Dopo “Settembre” di Giulia Steigerwalt, un’altra giovane autrice porta nuova linfa al cinema italiano, con una commedia agrodolce e corale dai colori sgargianti che richiamo il cinema indipendente americano (“Florida Project, “Little Miss Sunshine”).

La grafica dello locandina, che ricorda quella di E.T, è un indizio delle atmosfere anni ’80 che permeano la pellicola, ambientata in una cittadina di provincia del nord Italia. Come anche in “Amanda” di Carolina Cavallini il realismo lascia il passo a una rappresentazione onirica e sospesa. La regista mette in campo la sua passata esperienza di fotografa di scena nell’allestimento di quadri pop in cui la staticità delle esistenze dei personaggi si contrappone al movimento del fiume e a quello dei treni che passano sopra il chiosco al neon  di Penelope (Carlotta Gamba).

“Billy”, un film al chiaro di luna

Lena (Benedetta Gris), in una scena di Billy": la recensione del film

Gran parte del film si svolge di notte, con i personaggi ammaliati dalla luna piena che li sovrasta, in cui si raccolgono i sogni di evasione e cambiamento. Ognuno dei numerosi personaggi è bloccato: Billy, dopo aver condotto un podcast musicale si è barricato nelle sue paure, all’ombra di una madre esuberante, Regina, una Carla Signoris che si prende tutta la scena. Zippo (Alessandro Gassman), è un rocker che continua la sua fuga dalle responsabilità con la sua chitarra e il cane.

Massimo (Giuseppe Battiston), è il migliore amico di Zippo, è un timido pompiere che vive nella sua casa-barca sul fiume. Lena è una giovane ballerina di un night club, con difficoltà a instaurare un legame emotivo stabile. Billy ne è segretamente innamorato. Un legame inaspettato lega Zippo e Billy, che insieme provano a superare le loro fragilità. “Ci vuole coraggio ad andarsene”, “Ci vuole coraggio a restare”, sicuramente questo è uno degli scambi più belli tra i due.

Uno dei limiti del film è proprio il suo stile bozzettistico che non lascia spazio a un maggiore approfondimento narrativo e psicologico. Il suo più grande pregio è quello di stamparti un sorriso a fine visione che non è mai scontato.

Seguici su Google News

Eleonora Ceccarelli